LA CINA NON SI TAGGA

Reportage del nostro inviato a Shanghai, che ha rischiato di essere investito da uno scooter ecologico ed è tornato a controllare se i maiali morti in autostrada erano ancora lì. La sua missione? Scoprire se oltre a Facebook e a Youtube anche la Batusa è censurata dal Partito Comunista cinese. Ecco la terza puntata di “Sim Salam Inn”, la nostra piccola inchiesta sui piacentini fuori sede.

TESTO E FOTOGRAFIE: CESARE POMA DA SHANGHAI

Ultimamente Pechino Express va di moda in televisione. Un viaggio in Asia dall’India a Pechino. E’ l’ennesimo format che la tivù globalizzata ci propone: una “corsa” per acchiappare audience e che potrebbe farci scoprire qualche cosa di più di un Paese, la Cina, così lontana e così diversa. Il Paese della Muraglia (l’unico monumento che si vede dallo spazio), il paese del film di Bertolucci (L’ultimo Imperatore), di Mao e del Partito Comunista Cinese. Il Paese che ho sempre studiato sui libri di scuola e poi dell’Università. Ma anche il Paese della libertà limitata. E il mio pensiero va spesso a finire là. Alla Piazza Tienanmen, ai carri armati, al potere di una dittatura che ha usato l’esercito per imporsi con i civili, con gli studenti. E allora la prima cosa che ho fatto non appena sbarcato in Cina, dopo un volo lungo 13 ore (almeno) è stato accendere il computer per andare a cercare ulteriori informazioni. Mi trovo nella camera dell’hotel di Shanghai, dove devo fermarmi per una settimana di lavoro. Dopo una doccia, per rilassarmi e per lavarmi dagli odori patiti in aereo (ricordo ancora i piedi del passeggero tedesco accanto a me) e della gara di rutti (come tanto declamava Fantozzi) mi affaccio alla finestra. Il pc intanto procede con tutti i suoi aggiornamenti. La vista dalla mia finestra è sui cantieri: la Cina è un Paese in crescita, in continuo movimento. Dal 19° piano (da queste parti i palazzi sono veramente alti) il panorama propone tanti grattacieli (anche se siamo in periferia) e tante case in costruzione. Aspetto che il computer abbia finito (anche lui è stanco dal viaggio). Il verde di Skype mi segnala che la connessione è effettuata. Inizio subito a navigare, non come Colombo, ma come un semplice internet dipendente (per passatempo e per lavoro). Vado subito su Google ed inizio a cercare: mi ricordo di un articolo del Corriere della Sera che raccontava delle verità nascoste, ovvero dell’accordo tra la dirigenza comunista cinese e il colosso dell’informatica americano (un paradosso) che piega la schiena e per montagne di dollari ha oscurato i “veri” racconti di Piazza Tienanmen dal motore di ricerca per eccellenza. Inizio a digitare la parole fatidiche: “Piazza+Tienanmen”. Che strano. Si legge tutto e ci sono pure le foto. Che forse sia oscurato solo in cinese? Anche se fosse, per me sarebbe impossibile capire. Allora ritento. Voglio vedere se esiste veramente questo filtro. Amici viaggiatori mi avevano raccontato dell’inaccessibilità di alcuni siti, soprattutto social network, a cominciare da Facebook. Provo subito, si potrebbe fare un bel tag sul mio profilo con una foto dalla Cina: www.faceb… tick tick… digito il sito corretto e ops, che succede? Non va? Riprovo, F5. Niente. Si è scollegato? Macchè! La Cina non si tagga. Limitazioni di libertà? Può darsi. Più tardi, infatti, alcuni amici cinesi mi raccontano che Facebook è vietato. Non si può aprire. Vabbuò, penso, proviamo ad aggirare l’ostacolo: provo a scrivere qualche cosa su Twitter e poi lancio il messaggio anche sul social network blu. Ma anche qui, niente. La Cina non si tagga. Il Partito ci controlla. Ok. Provo allora a rilassarmi ascoltando musica: vado su Youtube e carico qualche bel video musicale, mentre aspetto che arrivi l’ora della cena. Ma anche qui, senso vietato. Non si apre nulla. Ok, ho capito l’antifona. Andiamo sul sicuro. Visto che mi sono perso due giorni di storie e notizie di Piacenza, vado vedere cosa succede dall’altra parte del mondo. Ho qualche “Piatto del giorno” in arretrato da leggere. Digito www.labatusa.it. Oh no! Anche la Batusa non si tagga. Censura!

SHANGHAI EXPRESS

 Altro che Pechino Express, questa volta mi faccio Shanghai Express. Ho un pomeriggio libero e mi piacerebbe andare in centro a vedere la città. Mi trovo in periferia, quartiere di Anting, la “Città dell’Auto” si legge – in inglese – sui cartelli. Lo si capisce anche dalle bisarche che partono in continuazione dal piazzale di fianco all’albergo. Sono dei veri treni: conto le auto, sono 17 per ogni camion. Mai visto, impressionante. D’altronde mi trovo nella zona in cui hanno fissato il quartier generale numerose case automobilistiche occidentali. Sono quasi pronto, mi munisco della vecchia e cara piantina (chissà, penso, magari anche se trovo una linea libera wifi, può essere che google map sia bloccato). Prima di partire chiedo informazioni ad altri italiani e poi alla reception (che sono anche gli ultimi cinesi che sentirò parlare in inglese in questa mia escursione). Chiedo indicazioni per andare alla stazione della metro. Mi dicono: esci dall’albergo, è facile. Vedrai i binari della linea sopraelevata ancora in costruzione. Vai in quella direzione, attraversi il casello dell’autostrada e dopo circa 200 metri trovi la “M”. Ma sono a piedi, obietto. Si, mi rispondono puoi andare a piedi, ma stai attento ai motorini. Armato di zainetto, cartina e macchina fotografica parto in compagnia dei miei colleghi verso il centro e mi imbatto nel primo pericolo: le strisce pedonali. Mi reco verso le zebre per andare dall’altra parte della strada in sicurezza, ma è uno sbaglio. Sembra che sia quasi un invito a farmi investire. Cerco di passare ma le macchine accelerano per non darmi la precedenza e gli automobilisti iniziano a suonare il clacson all’impazzata. E mi prendo anche qualche imprecazione in cinese. Ma chi li capisce. Mi dirigo verso il casello ed effettivamente c’è un piccolo marciapiede. Attenzione però agli scooter. Sono elettrici e non te ne accorgi perché sono silenziosi. Ti attaccano alle spalle. Saranno ancor più pericolosi verso sera, al calar della luce, perché i cinesi, pur di non consumare le batterie elettriche, non accendono i fari. Al casello c’è una sorta di dogana. Il poliziotto sta controllando un camion che sta portando maiali. Ma quanti sono? Tantissimi. Qualcuno non ce la fa. Stipato, forse per il poco spazio, muore asfissiato. Due porci ci rimettono la pelle e vengono adagiati a bordo strada. Proseguo e arrivo alla metro. Devo fare il biglietto. Non c’è una biglietteria, però trovo una cassa automatica. Fatto. Entro, dopo aver fatto uno “zaino” scanner. Mi devono controllare. Inizia un altro vero viaggio. La metro verso il centro, verso Piazza del Popolo. Un’ora e mezzo dopo risalgo in superficie.  Mi aspetto di trovarmi una piazza enorme, distesa. Ho in mente la Piazza Rossa di Mosca oppure quella di Pechino. E invece? Un parco enorme. Il cielo è abbastanza azzurro. Non sarà sempre così. C’è e ci sarà sempre una fuliggine che rende tutto più opaco. L’inquinamento, dicono. Dovuto all’industrializzazione e ai tanti veicoli. D’altronde in Cina sono più di un miliardo. Dovranno pur spostarsi. E nella sola Shanghai ci sono 22 milioni di cinesi. Che numeri! Da spavento. E le bici? Il luogo comune vuole che i cinesi si spostino in bicicletta. Altro che Olanda. E invece? Pochissime. Forse ho visto più cani che velocipedi. C’è questa moda dello scooter elettrico. Sembra che la città sia invasa. E i risciò? Qualcuno se ne vede, ma sono elettrici. Inizio a fare il turista.

MASSAGES?

Passeggiata nella via dello shopping. Iniziamo a guardare vetrine e confrontare prezzi. Yuan contro Euro. Il calcolo è difficile, ma alla fine a vincerla è sempre la moneta cinese (nel senso che qui si possono fare veri affari). Ma in questa lunga “vasca” veniamo continuamente disturbati. Si avvicinano i venditori che ci porgono una sorta di menu plastificato (tipo pizzeria) con orologi, ma anche gioielli, elettrodomestici, prodotti di elettronica. Ci invitano a seguirli, ma noi resistiamo alle sirene dell’affare a tutti i costi. Non ci fidiamo. Altri nostri colleghi ci hanno raccontato di stanze nascoste dietro muri finti, dopo aver passato vari cunicoli. Ma non ci sono solo i venditori Lo slalom è anche tra chi propone i massaggi. “Massages”, dicono alla francese. Non fanno per noi. La nostra meta è andare a prendere qualche souvenir. Un ricordo dalla Cina. Andiamo avanti e arriviamo al fiume. Una statua di uno statista cinese si contrappone: l’antico potere del Partito contro il progresso, che si affaccia sull’altra sponda. Sembra quasi una metafora. Passiamo sotto le acque torbide del fiume giallo (ma non è il Fiume Giallo) sfruttando un seightsseing strano dal costo di circa un euro, che propone di mostrarci le meraviglie sotto il mare. E invece è una semplice cabina a vetrate che passa in una galleria in cemento abbellita da luci colorate. Riemergiamo nuovamente in superficie e dobbiamo stare con il naso all’insù. Qui è una vera gara al palazzo più alto. Tra l’altro la torre delle comunicazioni è stata per lungo tempo l’edificio più alto della Terra. Veramente alto. Ad un certo punto scorgiamo due sagome. Guadiamo meglio, con l’aiuto dello zoom della macchina fotografica: ci sono due uomini che stanno lavando i vetri. Proprio in cina. Pardon, in cima. E non hanno impalcature. Sono legati a delle funi. Ho i brividi per loro. Giro lo sguardo e vedo solo grandi vetrate. Siamo nel quartiere di Pudong. Poco più in là ecco il grattacielo che sembra un apribottiglie. Stupore. Un quartiere modernissimo. E pensiamo il contrasto tra questa city così moderna e il resto della Cina, che ci dicono sia veramente povera.  Ormai è tardi, il sole è letteralmente caduto: al tramonto si passa dalla luce all’oscurità in pochi minuti. Un viaggio di un’ora e venti ci attende prima di rientrare in albergo. Nello stesso lasso tempo riesci a coprire la distanza tra Piacenza e Bologna. La metro ci attende e con essa i cinesi che sono più attenti a giocare con i loro telefonini piuttosto che osservare noi occidentali. D’altronde in una metropoli così grande (che contiene quasi la metà della popolazione italiana) sono abituati ad incontrare stranieri. Scendiamo dalla metro. Seguiamo il fiume di gente che, terminata la giornata di lavoro, fa rotta verso casa. Dopo la metropolitana ci sono gli scooter che aspettano per completare il viaggio. Usciamo e ripassiamo con cautela il casello dell’autostrada (sempre a piedi). Curiosamente il nostro sguardo va a cercare i maiali, che con sorpresa nostra sono ancora là, riversi verso il suolo, in una piccola gabbia. Domani mattina non ci saranno più, pensiamo (ma ci sbaglieremo). La Cina ci sorprende in continuazione. La Cina non si tagga.

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