LA VERA STORIA DEL FERRHOTEL

Le testate piacentine parlano del Ferrhotel, l’edificio color mattone che ospita i rifugiati che dovranno lasciare la città e che hanno protestato davanti alla Prefettura. Noi della Batusa c’eravamo stati all’inizio di ottobre, tra rifugiati politici accusati di omicidio, vetri rotti e melodie arabe. Il gestore, un ex rugbista con l’ufficio al primo piano, ci anticipò quello che sta accadendo in questi giorni.

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TESTO: FILIPPO MERLI; FOTOGRAFIE: IDEM

Accanto al Ferrhotel c’è un binario morto con bottiglie di birra vuote e vecchi pezzi di giornale. La protesta dei profughi che il 28 febbraio dovranno lasciare Piacenza per la fine dello stato d’emergenza è partita da lì ed è arrivata davanti alla Prefettura. C’erano una cinquantina di persone con lo sguardo serio, il cappuccio sulla fronte e gli striscioni alti sulla testa. Uno diceva: “Basta prendere in giro, siamo stanchi e stuffi”. Il problema non è la lingua italiana, ma i duemila euro che i profughi chiedono per poter lasciare la città con qualcosa in tasca. La Prefettura – su indicazione del Governo – ha proposto loro 500 euro a testa, e dopo il rifiuto iniziale il gruppo si è diviso: alcuni stranieri sono pronti ad accettare, mentre altri non si muovono dalla loro posizione: duemila o niente. La politica piacentina non sta a guardare. La Lega Nord, in una nota a firma del segretario provinciale, Pietro Pisani, è stata chiara: “Richiesta assurda, diamo quei soldi ai giovani”, ma i profughi che non si accontentano sono pronti a presidiare nuovamente lo spiazzo davanti alla Prefettura. Libertà e le altre testate piacentine seguono la vicenda con attenzione e il Ferrhotel è finito in prima pagina. Nessuno, però, ha raccontato la storia di quell’edificio color mattone che si affaccia sul parcheggio dei pendolari e che costeggia i binari della stazione. Noi della Batusa c’eravamo stati al’inizio di ottobre e – oltre a rifugiati politici accusati di omicidio e giovani africani con poca voglia di parlare – avevamo incontrato Carlo Loranzi, un ex giocatore di rugby che gestisce il Ferrhotel.

DETERGENTE PER LE MANI E COLLA PRITT

Loranzi era arrivato a bordo di un vecchio furgone e ci aveva accolto nel suo ufficio al primo piano del Ferrhotel, tra flaconi di detergente per le mani e colla Pritt. Il gestore dell’albergo che ospita i rifugiati, dopo aver chiuso la porta per allontanare le suonerie arabe dei telefonini, ci aveva anticipato quello che sta accadendo in questi giorni. “Nel 2011 – disse Loranzi alla Batusa – il Governo Berlusconi ha dichiarato lo stato di emergenza relativo all’arrivo dai profughi dalla Libia. Si parlava di più di centomila immigrati, in realtà ne sono sbarcati 28mila, oltre a quelli che sono morti in mare durante la traversata. Ora, dalle ultime notizie che ci arrivano, pare che il Governo Monti abbia fissato il 31 dicembre 2012 come data della fine dello stato di emergenza. Il provvedimento del Governo implica che dal primo gennaio 2013 dovranno essere gli enti locali e i servizi sociali a occuparsi di continuare l’accoglienza. Insomma, lo Stato non ci darà più un euro. Ovviamente gli enti locali, che hanno già subito tagli dal Governo, fanno sapere che non hanno soldi per portare avanti il programma. Di conseguenza le strutture come il Ferrhotel resteranno al verde e rischieranno di non poter più ospitare alcun rifugiato”. Esattamente quello che è successo, coi circa settanta profughi “sfrattati” dalle novanta stanze del Ferrhotel – tutte con bagno privato – che ospitano rifugiati provenienti da Costa d’Avorio, Gambia, Sierra Leone, Tunisia, Bangladesh, Burkina Fasu e Senegal.

VECCHIE COPIE DEL MUSLIM TIMES

Il vetro della porta dell’albergo era rotta (“c’è qualcuno che deve avercela con noi per quello che facciamo” disse Loranzi), in sottofondo c’era il rumore fastidioso dei trolley che passavano sul selciato della stazione e in fondo al corridoio c’era la camera di Deen Islam, un rifugiato politico del Bangladesh – era esponente del Partito Nazionale – ricercato per omicidio. “Non ho ammazzato nessuno” ci disse mostrandoci una vecchia copia del Muslim Times con la sua fotografia in prima pagina. Deen, 32 anni, è il grande vecchio del Ferrhotel: aiuta Loranzi in segreteria e all’occorrenza dà una ripulita alle camere. Ora, insieme agli altri nordafricani, rischia di dover lasciare la città. “Non ci sono mai stati problemi di ordine pubblico” ci spiegò ancora Loranzi. “Solo qualche manifestazione di malumore per come il Governo aveva attuato il programma di accoglienza, senza pensare agli effetti psicologici che avrebbe potuto avere sui profughi”. In questi giorni la tensione si è alzata e pare che la maggioranza dei profughi – già protagonisti di un atto di forza alle “Le Tre Corone” di Calendasco, l’ostello dove all’inizio dell’ottobre scorso – quattro rifugiati furono denunciati con l’accusa di minacce, danneggiamenti e sequestro di persona – non voglia cedere. E il Ferrhotel, l’edificio color mattone che un tempo ospitava macchinisti e controllori di passaggio a Piacenza, è sempre davanti al binario morto.

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