L’IKEA DI VIA MANFREDI

Viaggio metafisico al Bazar di via Manfredi, dove i fiori finti suonano pezzi neomelodici e dove le mutande da uomo hanno la scritta “Goal” sul didietro. Il nostro Virgilio è il proprietario cinese che ci segue per gli scaffali fischiettando e fingendo di spolverare. Finché non compriamo una luna fosforescente che odora di figurina Panini.

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TESTO: FILIPPO MERLI; FOTOGRAFIE: IDEM

Il pezzo forte è l’angolo riservato alla carta igienica. Ci sono rotoli di tutti i tipi: soffice, morbida, in pacchi da sei o da dodici. Il tizio cinese ci osserva a distanza, incuriosito dal fatto che non ha mai visto nessuno fotografare carta igienica. A giudicare dal grande mazzo di chiavi che porta alla cintura, dev’essere il proprietario. A un certo punto bolla la commessa e la manda da noi: “Buongiolno signole, che fa?”. Valle a spiegare. Le diciamo che non avevamo mai visto tanta carta igienica in vita nostra e lei sorride. Non ha capito nulla, ma sa che la carta igienica ha fatto colpo. Lo scopo del Bazar di via Manfredi – accanto al Movida, dopo l’Esselunga, insomma cercatelo perché via Manfredi non è Fifth Avenue – è proprio questo: vendere roba talmente assurda che alla fine uno la compra. Se in giro ci sono posti come questo è inutile avere un punto vendita Ikea. E’ già tutto lì. Volete un girasole di gomma che suona quando ci passate davanti? Oppure volete un crocefisso fosforescente? Al Bazar c’è tutto. E’ un po’ come Tiger, solo che ha molta più fantasia e punta più sulla quantità a prezzi stracciati. Se vi avanza qualche spicciolo potete divertirvi con la biro con la donna nuda che si veste e si sveste quando la capovolgi. I ragazzini stanno lì per ore, la girano, la rigirano, la contemplano e si chiedono perché nella realtà non è così semplice. Qualcuno entra dall’ingresso principale, altri percorrono la leggera discesa con la moquette verde e un piccolo arco con la scritta “mercatone entrata” e prendono paura quando il girasole inizia a cantare. Qui non c’è la porta, ma una tenda di plastica spessa che ti introduce nel mondo dell’inutilità. Tutto quello di cui non hai bisogno lì c’è: dalle calcolatrici coi tasti a prova di anziano ai cellulari che abbaiano quando premi il bottone verde, dagli appositi indumenti da parrucchiera a My love baby, la versione tarocca della Baby Mia che parla un inglese stretto.

SOLDATI E LIMOUSINE

Il tizio cinese ci tiene sempre sott’occhio. Finge di riordinare un paio di scatoloni ma si aggira tra gli scaffali con aria incuriosita. Ci presentiamo per tranquillizzarlo e per fargli capire che non abbiamo intenzione di fottere un pacchetto di bigodini: siamo del blog la Batusa. “Eh?”. Siamo giornalisti del blog la Batusa. “Ah batula batula, bene bene”. Ci guarda peggio di prima e si fida ancora meno. Ma nella vita ci vuole il coraggio di osare, così continuiamo il nostro viaggio metafisico e arriviamo allo scaffale dei pupazzi giganti, dove gli acari della polvere fanno festa e bevono Daiquiri Frozen ben protetti dal cellophane. La tartaruga ci fa impazzire, ma non c’è il prezzo. Non chiediamo nulla al tizio per non alimentare ulteriormente i suoi sospetti. Anche i soldatini della seconda guerra mondiale spaccano: peccato che nella seconda guerra mondiale non esistessero le jeep Hummer che invece si trovano nella confezione accanto al sosia sputato del generale Rommel – guardiamo meglio e notiamo con sorpresa che tra carri armati e aerei c’è pure una limousine verde militare: al Bazar di via Manfredi uno come Kant impazzirebbe. A proposito: negli scaffali dedicati agli oggetti per la casa ci sono donne che battono il pugno sul fondo delle padelle e mariti che vagano come peripatetici in cerca del proprio Io. Continuiamo a fotografare col tizio alle costole che appena ci giriamo fischietta e finge di spolverare. Un mito. Passiamo le tavolette per la piscina e i ferri da stiro della marca “Stira Ok”, diamo una rapida occhiata alle centinaia di cavatappi esposti e ci dirigiamo verso l’angolo della carta igienica, il nostro preferito. Pensiamo di essere arrivati alla fine. Non è così.

REGGISENI NICOLE MINETTI

Sulla destra c’è una scala che porta al piano superiore, dove scopriamo che c’è l’ingresso principale. Questo è il reparto dedicato all’abbigliamento. Ritroviamo la commessa di prima e non vogliamo immaginare che cosa pensi di noi quando le chiediamo se possiamo fare una foto ai reggiseni. Il fatto è che ce ne è un’infinità: di ogni misura, taglia, pizzo e colore. Ci sono reggiseni talmente imbottiti che anche la tizia più piatta di Piacenza sembrerebbe Nicole Minetti. Sugli appendini ci sono i tipici abiti cinesi: coloratissimi e sinteticissimi. C’è anche un manichino che si muove. Ah no, è il proprietario che ci ha seguito al piano superiore. Salutiamo per educazione e puntiamo le mutande. Vasta scelta, niente da dire. Quelle con la scritta “Goal” sul didietro ci incutono un certo timore, ma non stiamo lì a far domande e – sempre col nostro amico a debita distanza – andiamo a vedere le parrucche, poi riprendiamo le scale – “Attenzione al gradino” ci avvisa un grande cartello bianco – e torniamo nel reparto casalinghi, cartoleria e ferramenta. La tizia alla fine ha comprato la padella e il marito, come in trance, è rimasto incantato da una clessidra per giochi da tavolo. Guardiamo l’ora sul telefono e cronometriamo: un minuto scarso, poi il tizio cinese compare dalle scale, ci sorride e si mette a passare il mocho in terra. Facciamo un altro giro per avere la conferma di ciò che stavamo pensando: al Bazar di via Manfredi c’è qualunque cosa. Il nostro lavoro è finito e vorremmo andarcene, ma dopo aver disturbato il tizio cinese sarebbe scortese uscire a mani vuote. Così ci avviciniamo a un’enorme luna fosforescente che s’illumina quando viene buio. Tre euro. Un affare. Andiamo alla cassa, il tizio ci raggiunge e – dopo aver pagato – ci saluta: “Batula batula!”. Grazie e arrivederci. “Batula batula!”. Beh. Ripercorriamo la salita, prendiamo paura quando il finto girasole attacca il suo pezzo neomelodico e andiamo subito a provare la luna fosforescente. La attacchiamo al muro e le facciamo prendere luce. Poi spegniamo e ci buttiamo sul letto. Poco dopo avvertiamo uno strano odore di petrolio misto a figurina Panini. Cala la notte. La luna splende sulla cabina armadio.

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1 Comment on "L’IKEA DI VIA MANFREDI"

  1. fino a pochi anni fa gli italiani erano considerati popolo tra i più eleganti e con grande senso estetico. Tutto è crollato in questa povera Italia, anche il buon gusto. Che tristezza

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