LETTERE ALLA BATUSA

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Cara Batusa,
dai tuoi articoli, ho notato che sei spesso sul pubblico passeggio: vuoi per leggere un buon libro, vuoi per fare un po’ di parkour, vuoi per ospitare sulla tua maglietta un po’ delle simpatiche bestioline presenti sui platani. Ti volevo chiedere un parere, magari anche dare un’idea a KT per rilanciare l’utilizzo del pubblico passeggio: ogni anno ad ogni fiera che c’è sul pubblico passeggio, dei dipendenti comunali colorano i numeri delle bancarelle sull’asfalto: ci sono numeri blu, numeri gialli e a questa edizione del mercato europeo sono comparsi dei numeri bianchi! Con tutti quei numeri che ci sono, secondo te, cosa si potrebbe organizzare?
Luca

Caro Luca, KT non ha certo bisogno dei nostri consigli per rivitalizzare il Facsal. Siamo certi che sfrutterà i numeri sull’asfalto nel migliore dei modi, anche perché noi, invece dei numeri, sull’asfalto metteremmo qualche dosso per fare un dispetto ai tizi che vanno coi roller.

Cara Batusa,
mi ero divertita così tanto a scriverti che ho deciso di replicare. In particolare, ho deciso di condividere con voi e i vostri lettori un paio di riflessioni sulla mia bistrattata generazione, quella nata a metà degli anni ’80.

Definizioni autorevoli e lavoro

Sospesi tra le generazione x e y, anche se alcuni ci vogliono appartenenti alla seconda, siamo stati  definiti in tanti modi:  boomerang children, generazione bim bum bam o Ryanair, surfisti della rete, del mondo del lavoro e, perché no, della vita stessa. Siamo tacciati di essere choosy, termine sbagliato se generalizzato, ma i miei coetanei ammetteranno di non rivedersi nella fantozziana identificazione del lavoratore con la Megaditta. Non potremmo, ma di sicuro non vorremmo. Al riguardo, mi trovo IN PARTE d’accordo con la frase di Monti ”Il posto fisso: che noia” o per lo meno, non avendolo, con spirito auto-preservante (e buona dose di ironia) preferisco pensare che sia meglio così. Nell’incertezza del futuro, quando non cedo alla paura, vedo più che altro libertà: il massimo! Non nego che questo mio proverbiale ottimismo possibilista nasca e tragga forza dalla più solida tra le famiglie, sempre pronta a credere nelle mie scelte e a sostenerle moralmente quando non anche materialmente. Sicuramente non sono un caso isolato. Dicono di noi che siamo ottimisti, sfuggenti e un po’ cinici. Vogliamo seguire le nostre aspirazioni, realizzarci e se la conquistata indipendenza non dura, si torna a casa da mammà (da qui boomerang). Dopotutto non abbiamo deciso noi di riformare il mondo del lavoro senza pensare alle conseguenze.  Per quest’ultimo siamo una generazione-buco quasi interamente non contemplata.  Non avendo due vite da vivere, dico che poteva andarci meglio, ma anche molto peggio. Se il mondo funzionasse a rovescio, non sarei dove sono e dato che, come vi scrivevo, non me la passo  malaccio, al momento ringrazio e vado avanti. Dopotutto, anche Battiato in tempi non sospetti cercava un centro di gravità permanente senza riuscirci.

Università. Un mondo di dottori

Oggi tantissimi (purtroppo non tutti) possono studiare. Il problema è che non tutti DEVONO studiare. Con questo lungi da me lo sminuire l’importanza dell’istruzione, tutt’altro! Ho osservato però troppo spesso studenti demotivati e senza passione, aspiranti avvocati cui non era chiaro l’uso del congiuntivo e sedicenti esperti di un bel nulla. Chi ha detto che l’università é l’unica opzione? Perché a troppe persone è stato fatto credere che fosse quasi un disonore andare a lavorare? Per un popolo di creativi intraprendenti come il nostro, è a maggior ragione un peccato. Ovviamente c’è anche altro, ma mi limito a parlare di quello ho vissuto in prima persona.Un altro fatto pessimo è quello di aver perso il senso originario di università – universitas – come esperienza formativa onnicomprensiva oltre il nozionismo. Condivisione interdisciplinare, politica universitaria, fora (latino, non piacentino), associazionismo, riviste, community online, radio, conferenze, assemblee, manifestazioni, mobilità giovanile, seminari e, dato che va di moda, workshop. Tutto questo esiste e ravviva i nostri atenei, ma in Italia resta solo un optional non incentivato da chi di dovere, professori in primis. Ciò non toglie che gran parte degli studenti queste cose le faccia eccome. Per quanto mi riguarda, rifarei tutte le scelte, anche o soprattutto quelle sbagliate. L’esperienza più bella della mia vita.

Antiperbenismo. Amen

Uno dei tratti che preferisco di noi giovani d’oggi è il sostanziale abbandono del perbenismo. Non che in questo non ci siano lati negativi: morte definitiva della cavalleria, Jersey shore, brindare con bicchieri di plastica, giustificazionismo della maleducazione, Jersey shore II, il semplicistico benché schietto concetto di “trombamici” e le urla dei talk show. Basso impero? Si, ma sicuramente meno ipocrita. Gli yuppies e la democrazia cristiana sono ormai un ricordo, e del costume anni ’80 di cui siamo figli salviamo soprattutto la tv spazzatura e la musica, che sia disco, rock o metal. Tra noi, quasi tutto è permesso. “Cosa cazzo facciamo stasera?” è un normalissimo invito a cena e lo sproloquio è di casa anche nelle “migliori famiglie”. Quello che era inaccettabile per i nostri fratelli maggiori oggi è  più che tollerato (anche da questi, loro malgrado). L’onore è un concetto rivisitato e l’ossequiosità è più che altro sbeffeggiata. Il rispetto non è quello verbale o cerimoniale, ma, nel caso, quello sincero. L’adeguamento ai dettami del retaggio non è più requisito necessario per essere socialmente accettabili e, salvo eccezioni, il diverso ci fa meno paura. Ora, senza pretese da sociologa, sono certa che alcuni si distanzierebbero da queste mie  affermazioni, ma mi è sempre piaciuto circondarmi -per lo più- di persone aperte e senza troppi fronzoli.

Multimedialità

Siamo nati con un Game boy in mano, abbiamo scaricato musica da Napster e i social media sono il nostro pane quotidiano. La TV ci ha cullato fin da piccoli e per comunicare al meglio con noi, devi conoscerla. Viviamo iper-stimolati, andiamo al cesso con l’Iphone, la vita é on demand e senza internet non ci vogliamo stare, mai! Questo già lo sapete, ma immaginate quanto questa perenne esposizione sociale abbia influenzato le nostre vite e relazioni? Non siamo mai del tutto soli. Il timido online non è più tale, si è SEMPRE reperibili e chiedere il numero di telefono è un passaggio superato se non superfluo. Ciascuno elabora sue personali strategie di marketing, copie di mille riassunti affollano il web e l’eco dell’ignoranza (fatto salvo quello della conoscenza) è a portata di share. Se internet ha l’intrinseco potenziale di liberalizzare l’informazione, noi in qualche modo ci rinunciamo e guardiamo quello che passa il convento del Network… e la massificazione di qualcosa originariamente libero, non può che rattristarmi. Ci sguazzo a prescindere da sempre. In effetti, se state leggendo, saprete bene cosa intendo. Sempre meglio di Studio Aperto!

La fede

Dicono che non crediamo in niente. Non ci sto! Io credo nell’amicizia, nella libertà, nel prossimo, nella solidarietà umana, nella famiglia e nell’amore più sublime. Come me, tantissimi altri.
Laura Marenghi

Cara Laura, cos’altro aggiungere?

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1 Comment on "LETTERE ALLA BATUSA"

  1. Alessandra Ferrari | Settembre 17, 2013 at 4:56 pm | Rispondi

    CarabLafaccio quel cazzo che voglio tanto c’ho il culo parato? o è troppo semplicistico

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