HO VISTO IL NINA VOLARE

bruno valentina

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTOGRAFIE: IDEM

Entriamo al Nina e Bruno ci offre subito un robo. Rifiutiamo gentilmente perché sul lavoro non beviamo, e non potete immaginare quanto sia dura non bere per un paio d’ore al giorno. Ci accontentiamo di una Coca senza rum. Il Nina è chiuso. Sul bancone c’è un foglio bianco con la scritta “resa detersivi”, sotto, al piano inferiore, c’è la luce accesa. Bruno porta una maglietta della Nike – scusate, ma questa marchetta alla Nike ci permetterà di tirare avanti fino a gennaio grazie alla Nike – e calzoncini corti. Ci invita ad accomodarci a un tavolo di legno che ne ha viste tante. Forse è stato anche il tavolo di Tony, il dandy indiano che ha frequentato il Nina fino al giorno prima di morire, poco tempo fa. Bruno ci mostra una sua foto. Tony porta un cappellino da baseball e stringe il bicchiere in mano. Ha l’espressione di chi sa di aver trovato un posto divertente per passare le ultime sere della sua vita.

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“Vale, vieni su!”. Vale è Valentina, la socia di Bruno. Era lei che trafficava al piano di sotto per organizzare il trasloco. Il Nina – come abbiamo spifferato sabato scorso – sta per chiudere. Se al nostro posto ci fosse stato qualcuno di Libertà avrebbe iniziato a parlare di nostalgia e di crisi che colpiscono i locali del centro storico con tanto di intervista a KT nel box accanto. Ma qui siamo alla Batusa e vogliamo soltanto raccontare la storia del Nina, il locale di via Garibaldi che porta il nome di una femmina di bulldog inglese che Bruno e Valentina non hanno mai avuto.

GENTE DA BANCONE

Valentina porta le Crocs ai piedi e siede sulla poltrona di fronte a noi. Ci alziamo per salutarla come ci ha insegnato Nereo, ma è Valentina a tirarsi indietro perché ha le mani impolverate. Torna poco dopo con un posacenere e ci offre una sigaretta, ma durante le interviste non fumiamo, e non potete immaginare quanto sia dura non fumare per una ventina di minuti. Apriamo la nostra lattina di Coca con la scritta “Chi sorride”. Bruno sorride anche se la fine del suo locale è vicina (ecco che cosa succede a leggere i pezzi di Betty Paraboschi). “Abbiamo aperto nel 2007 – racconta Bruno alla Batusa – e all’inizio, oltre ai drink, vendevamo fiori. Poi il Nina è diventato un locale vero e proprio, aperto tutte le ore del giorno col picco nel periodo serale”. Non siamo mai stati clienti abituali del Nina. A parte i cessi di colore viola

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tutta quella gente in piedi sui marciapiedi ci terrorizzava.

gruppo

Noi siamo tipi da bancone, ci piace guardare il ghiaccio nel bicchiere contemplando i misteri del cosmo sopportandone il peso [fingere che la citazione sia nostra e non di Mordecai Richler]. Il solo pensiero di stare in mezzo alla gente su un marciapiede di via Garibaldi ci faceva rabbrividire. Ed è stata proprio questa la forza del Nina: attirare gente anche sui marciapiedi di via Garibaldi, una cosa semplicemente impensabile se non ci sai fare – soprattutto perché conosciamo bene i piacentini, sempre pronti a muoversi in massa e ad abbandonare un locale da una notte all’altra. “Abbiamo sempre collaborato con gli altri locali – dicono Bruno e Valentina – con cui c’è un ottimo rapporto, anche se a volte alcuni gestori sentono troppo la rivalità”. Il Nina è ancora chiuso. Così, con le bottiglie sugli scaffali, una bicicletta bianca appoggiata a un tavolo e tre paia di scarpe col tacco poste in una teca appesa il muro, sembra il posto ideale per scrivere la biografia di un cantante pop di San Nicolò.

IL CAVATAPPI DI PINOCCHIO

L’ultima occasione per bere un robo al Nina è sabato. Poi il locale chiuderà definitivamente (voci di corridoio dicono che potrebbero subentrare i proprietari della gelateria K2 che si trova lì di fronte). E proprio sabato i clienti del Nina potranno prendere pennarelli colorati e biro per lasciare un pensiero sulle pareti del locale. Noi la biro non la troviamo. Il nostro borsello da checche sembra la borsetta di nostra madre: troviamo tutto meno quello che cerchiamo, compreso un cavatappi di legno con la forma di Pinocchio che abbiamo comprato anni fa in una bottega artigianale di Trastevere. Valentina ci presta una Bic per prendere qualche altro appunto. “Giusto l’altro giorno – dice Bruno – qui c’erano due persone in Vespa”. Dentro al locale? “Dentro al locale”. Bruno ci passa la foto su WhattsApp.

vespa

Questo sarebbe il momento ideale per chiedergli che cosa farà da grande, ma siccome siamo sempre la Batusa e non Libertà gli consigliamo di prendere un furgoncino e di aprire una Lurida. I paninari ambulanti sono il futuro. “Sai che ci ho pensato veramente? Però adesso è presto, vediamo”. Valentina potrebbe partire per gli Stati Uniti, ma anche lei non ha fretta. “Per il momento – dicono – vogliamo solo ringraziare tutti i nostri clienti, con cui abbiamo passato anni indimenticabili e che invitiamo a bere l’ultimo robo venerdì e sabato sera” (ovviamente sottoscriviamo in pieno: venerdì e sabato tutti al Nina a bere un robo!). Ci alziamo per fare qualche fotografia e notiamo subito una bottiglia di gin Hendrick’s sullo scaffale, segnale inequivocabile che al Nina si fa sul serio. E’ qui che Bruno ci racconta la storia di Nina, il nome che aveva scelto insieme a Valentina per una femmina di bulldog inglese che non hanno mai preso ma che alla fine è diventato il nome del locale. Bene. Questa, in sintesi, è la storia del Nina, che abbiamo scritto di getto su una panchina del Facsal accanto a un paio di birre Beer da 50 cl, ma tanto eravamo fuori dall’orario di lavoro.

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3 Comments on "HO VISTO IL NINA VOLARE"

  1. Scusate ma mi sono fermato alle prime righe. E’ morto davvero Tony?

  2. Sì, purtroppo ci ha lasciato il 3 agosto scorso.Siamo stati al suo fianco durante gli ultimi giorni.E’ sepolto nel cimitero comunale di Piacenza.

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