TESTO: NICOLÒ PREMOLI; FOTO: INTERNET
Quand’ero ancora un teenager, con tanto di zaino Invicta e lettore CD portatile, il diabolico Facebook ancora non era conosciuto dai più: per riuscire a contattare i nove amici necessari per il calcetto del sabato pomeriggio o qualche anima pia che mi concedesse un passaggio verso l’Irish ero comunque dotato di un potente strumento di comunicazione, una meraviglia dell’ingegneria informatica: Messenger. Volgarmente definito dai più come “Emmeesseenne”, il bisnonno di Whatsapp permetteva di chattare con gli amici del calcetto e i compagni di Guinness dal computer di casa. Tuttavia, tempo dieci secondi dall’avvio, cominciavano i dolori: i diabolici “trilli” (che, molto teoricamente, servivano a richiamare l’attenzione dell’amico addormentato sulla tastiera) iniziavano a scuotere lo schermo e a farti sobbalzare sulla sedia quando le casse erano accese al massimo volume. Il più delle volte il trillo non era utilizzato per il suo scopo ma per scatenare una ancor più molesta reazione a catena: si continuava ad inviare e ricevere trilli fin quando il computer non si riavviava dalla disperazione. Oggi Messenger non c’è più e anche l’Irish non è quello di una volta: niente più trilli né moleste richieste di passaggi verso via San Siro. Facebook ha reso tutto più semplice: tra foto di ogni genere e la privacy presa a ceffoni da papà Zuckerberg fare “amicizia”, oltre che organizzare calcetti e fare campagna elettorale, è ormai un gioco da ragazzi (manca sempre un portiere, ma a questo non c’è soluzione alcuna). Certo, al posto dei “trilli” ci sono le migliaia di inviti provenienti dalle discoteche e dai locali piacentini, ma Facebook è sulla cresta dall’onda da ormai sette anni e macina guadagni da capogiro anche con l’ausilio di inserti pubblicitari del tutto casuali, a volte degni del peggior sito a luci rosse.
Pare tuttavia che tra i teenager vi sia stata una piccola migrazione verso altri lidi, un cambio di rotta in direzione di altre fonti di procrastinazione dei compiti a casa che stanno prendendo piede da qualche tempo a questa parte: stiamo parlando di Twitter e Instagram. Se il Pd di Piacenza ha compiuto il miracolo della moltiplicazione dei tesserati, Twitter è riuscito in un’impresa ancor più titanica: trasformare gli utenti di Facebook in “filosofi da 140 caratteri”, dei piccoli Hegel formato sms. In quel centinaio di caratteri si possono agilmente condensare profonde riflessioni filosofiche durante un’ora buca qualsiasi o mentre si è in attesa del bus in Piazza Cittadella. Da molti è considerato forse troppo informale, da altri un freno alle citazioni di Fabio Volo che non rientrano, fortunatamente dico io, nel misero spazio concesso dal tirannico Twitter. E’ di certo il social network adatto per chi non riesce a superare l’ostacolo delle due colonne di foglio protocollo nei temi d’italiano e permette di schivare agilmente le tonnellate di notifiche che vanno a braccetto con Facebook. Certo, il Boeri non sarà molto contento ma questa è un’altra storia.
Se Twitter può essere dipinto come l’elogio della sintesi, Instagram ha convinto tutti i possessori di smartphone di essere maestri della fotografia. Mentre Twitter ha colpito indistintamente maschi e femmine, Instagram ha preso decisamente più piede tra le teenager per un semplice motivo: è il mezzo più rapido per ricevere gli ipocriti apprezzamenti da parte delle compagne di classe. Basta una foto, l’utilizzo di asterischi a casaccio ed il gioco è fatto. Il più delle volte a finire su Instagram sono fotografie degne del calendario Pirelli; talvolta però può capitare di scorgere tra un “davanzale” e l’altro qualche scorcio di Piacenza: il Duomo e Piazza Cavalli dominano la scena, magari con qualche ripresa artistica mattutina mentre al secondo posto ecco i camerini di Zara che, come accade per l’arte contemporanea, hanno evidentemente per qualcuno un grande valore artistico. I pregi di Instagram sono molteplici, non occorre nemmeno essere prolissi: basta fingersi fotografi e cliccare sulle foto degli amici per esprimere un apprezzamento e viceversa. Se con l’italiano e le parole come “eccezione”, o magari con la prof, non andate proprio d’accordo dotatevi al più presto di uno smartphone e dell’app di Instagram: il debito formativo non ve lo toglie nessuno ma vuoi mettere la soddisfazione di celebrare il 4 in pagella con una bella foto?
Per farla breve, in una decina d’anni sono cambiate tante, troppe cose. Fino a qualche anno fa andare in fuga da scuola era (quasi) un gioco da ragazzi: bastava evitare di incrociare lo sguardo di parenti di quarto grado e sperare che non ci fossero professori in ferie. Oggi invece occorre schivare le molestissime foto dei compagni di fuga, evitare di essere taggati in qualche bar del Corso e simulare gli effetti dell’influenza con il filtro seppia di Instagram: forse è quasi più conveniente andare a scuola e rendere partecipe tutta Piacenza delle immani fatiche che paiono trasparire dalle mura del Gioia o del Colombini. #chepallelascuola #vedraidopo.
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