VACCA AL TRENO

TESTO: MARCELLO ASTORRI; FOTO: ARCHIVIO BATUSA

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Quella mattina il treno aveva un ritardo clamoroso (strano). Il sottoscritto, il Moro e Mirko attendemmo il treno nell’atrio della stazione conversando amabilmente del più e del meno, soprattutto del meno. Quando ecco che si fece vivo il bomber, un nostro amico che di tanto in tanto si univa alla combriccola per il viaggio verso l’università. All’epoca era uno studente brillante ma svogliatissimo, distratto com’era dall’ intensa vita sentimentale che conduceva (se così si poteva chiamare) e dalla passione viscerale per il calcio. Dei quattro è quello che ci prendeva di più con il pallone e militava in una squadra di Promozione. Non era attaccante né segnava poi tanto spesso, ma lo chiamavano lo stesso bomber per lo stile di vita sregolato e il look impeccabile. Solitamente è uno con l’argento vivo addosso, uno di quelli che nelle compagnie ama fare del cinema e spesso ci riesce. Quella mattina però era incazzato come una bestia; aveva corteggiato la ragazza sbagliata e si era trovato un enorme cazzo disegnato sulla portiera della sua Athos. Dopo averlo sfottuto a dovere, il nostro Regionale finalmente si degnò di arrivare sul binario e  salimmo prontamente sul primo vagone disponibile. La prima carrozza che incontrammo non andava bene perché il riscaldamento non funzionava. La seconda idem. La terza era affollata ma un buco per sedersi c’era. In uno dei sedili accanto al nostro facemmo la conoscenza di una bella ragazza che studiava lingue orientali, ed era invasatissima con l’indiano. Prese a raccontarci i suoi studi, e noi ascoltammo attentamente fingendoci interessati. A un certo punto passò un ragazzo con alcuni mazzi di rose in mano, aveva tratti somatici simili a quelli di un indiano. Lei, la ragazza che studiava lingue, lo afferrò per un braccio contentissima di poterci dare una dimostrazione di hindi parlato. Così pronunciò parole a noi incomprensibili e, a quanto pareva dall’espressione stralunata dello sventurato ragazzo delle rose, pure lui non capì assolutamente nulla. La studentessa iniziò a sbracciarsi e a riformulare frasi con angosciante difficoltà. Alla fine la tolse dall’imbarazzo il presunto indiano, pronunciando in perfetto italiano: “Sono del Bangladesh”.
Dopo questo simpatico siparietto, il treno si fermò alla prima stazione. Salirono un mucchio di persone e alcune rimanevano in piedi, noi le guardammo con aria aristocratica, di quelli che potevano godersi il panorama del finestrino, con il culo sopra un superbo sedile impregnato di almeno vent’anni di schifezze. Tra i nuovi arrivati notammo subito un tizio alto un metro e cinquanta, olivastro, pieno di catenoni, con giubbotto di pelle e la tipica panza da bevitore. L’età oscillava tra i 40 e i 45 anni. Mirko menzionò per sbaglio il campionato d’Eccellenza, e il signore in questione s’illuminò e proferì, in italiano discutibile, le seguenti parole: “Tu giochi in Eccellenza, giochi?”. Non facemmo tempo a rispondere che lui iniziò a raccontarci dei suoi recenti trascorsi di grande attaccante sui campi della serie C e che in quel momento, ormai arrivato a fine carriera, si era trovato una squadretta di Eccellenza nella quale segnare i suoi ultimi gol. Fu un monologo imbarazzante che ci accompagnò per il resto del viaggio, con noi che lo guardavamo come normalmente si guarda chi dice di essere Napoleone. Lui vide le nostre facce meravigliate e ci lasciò nome e cognome, oltre al nome della sua squadra di appartenenza (come a dire “andate a controllare se non ci credete”). Noi, una volta scesi alla stazione d’arrivo, prendemmo lo smartphone e trovammo su internet una foto di squadra. Il nome che ci aveva dato era vero. Peccato che figurasse sotto a un marcantonio di un metro e novanta che probabilmente la panza da bevitore non l’aveva mai avuta. Ci avevamo quasi creduto.

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