TI PREGO, FAMMI SCENDERE

Ci vuole davvero poco a celebrare un treno che viaggia a più di 300 km/h. Eppure Pupi Avati, con il suo spot, è riuscito nella mirabolante impresa di donare al nuovo Freccia Rossa 1000 lo stesso fascino di un treno merci. Una carrozza anni Trenta si allontana con simpatici bimbetti che salutano l’amico rimasto mestamente a terra. Il nuovo Freccia Rossa si ferma senza nemmeno un cigolio e accoglie nelle sue carrozze splendenti il povero pargolo rimasto solo. Da Milano a Roma nel tempo di due partite di calcio o anche meno, classe uber business e macchinista doppiato da un quattordicenne senza barba. L’apoteosi dell’autocelebrazione all’italiana con un finale strappa lacrime di orgoglio nazionalista.  “Non voglio scendere più”: questa la frase clou dello spot, il momento topico. Lo stesso pensiero che passa per la mente a chi sale sul campanile del Duomo per la prima volta. Decisamente troppo facile girare uno spot simile (meno cannarlo in toto), servirebbe una sfida ben più ardua. Percéè non regalare qualche secondo di notorietà anche ai Regionali? Ora che ci penso, di Regionali ne ho presi ben pochi: forse forse ho preso più Espressi quando nell’innocenza della mia fanciullezza pensavo fossero i treni più veloci. Per poi restarci malissimo quando fermavano anche in mezzo alla campagna. Decido di lavorare di fantasia come Avati, di dipingere un quadro a tinte calde ma con il supporto di chi qualche treno l’ha preso davvero.

Lasciamo perdere l’idea di far salire su un Regionale lo stesso ragazzino dello spot che al massimo potrebbe avere sul groppone qualche giro sul “2” il sabato pomeriggio verso Piazza Cavalli. Alla prima “marianassa” dei pendolari in attesa sulla pensilina volerebbe via come un fuscello. Scritturiamo come attore principale quantomeno uno studente universitario, magari della provincia, temprato nelle corriere che vomitano ogni mattina studenti al Cheope. Sbattiamolo al settimo binario, o giù di lì, pronto a salire sul 7:09. Niente porte del Frecciarossa 1000 che si aprono senza far rumore, niente motrici che fendono l’aria. Il 7:09 è lì – fermo – pronto ad accogliere il popolo dei pendolari di Piacenza. Sì, è vuoto proprio come il Frecciarossa 1000 dove sale il pargolo di Avati. Vuoto ma senza aitanti hostess che salutano con un suadente “ciao”. C’è posto sul 7:09. Almeno fino a Lodi. Il 20410 parte da fermo: potrebbe essere puntuale ma decide di accumulare già qualche minuto di ritardo. Dopotutto la tratta va potenziata: rafforziamo il ritardo. Il 7:09 è un mondo a parte dove c’è caldissimo quando fuori è estate e dove si gela quando fuori fa freddo. Seguiamo il nostro studentello che si accomoda in seconda. Un luogo dove le ragazze più navigate hanno almeno quattro o cinque nomi e altrettanti morosi per evitare l’abbordaggio e dove c’è pure chi cerca di innescare litigi accampando pretesti del tutto fantascientifici e grotteschi. Dove chi è seduto posta su Facebook stati d’odio verso Trenitalia e chi è in piedi pubblica stati d’odio dedicati a chi è seduto. La fantasia supera anche la realtà: per uno spot in fascia serale forse sarebbe meglio non zoomare sugli sguardi schifati di chi viene raggiunto dalle zaffate di sudore del vicino o le battute sull’aria condizionata che non funziona. C’è di tutto sul 20410, soprattutto quando viaggia a pieno carico. Ma ecco che il nostro eroe senza pezza e (forse) senza paura raggiunge in qualche modo la cabina di guida. Milano è lì, da qualche parte, ma ancora dannatamente lontana.
“Ti prego, fammi scendere”, lo sguardo dello studente è implorante, teso, come se avesse visto per la prima volta lo scopettone estensibile sulla Fiera di Sant’Antonino. Il macchinista si volta, ha un volto uscito da Shining ma la voce di Alberto Brenni: “Guarda che siamo in ritardo di 180 minuti, vatti a sedere”. L’incubo deve ancora iniziare. Benvenuti sul 20410.

TESTO: NICOLÒ PREMOLI; FOTO: INTERNET

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