INCROCI PERICOLOSI

Quella sera aveva deciso di tagliare prima per via Gorra e poi per via Martiri, nella vaga speranza di evitare il traffico dell’ora di punta sulla tangenziale. E quel blocco alla rotonda della Galleana. Tutto era filato liscio: al semaforo davanti all’American Bar c’erano giusto quattro, cinque auto incolonnate. Il rosso era durato soltanto una manciata di secondi, quei secondi mentre in radio passava la solita canzone dal solito ritornello in spagnolo. Di quelle che balli con una Milfal Village facendo pure finta di conoscere il testo.
Verde. E via Don Minzoni che si spalanca davanti al parabrezza. Davanti giusto un furgone che aveva tolto il disturbo alla prima traversa utile. Nessun segno di bus pronti a fermarsi per scaricare il carico di signore con borsa dell’Esselunga in mano. Era arrivato ai dossi. Prima uno e poi l’altro. Uno sguardo alla gelateria, un altro paio allo stop: pareva incredibile, ma non c’era praticamente nessuno in giro. Era filato tutto liscio. Almeno fino all’incrocio con via Veneto. Non passava lì da un pezzo e non ricordava che il semaforo non c’era più.
Panico. Aveva già affrontato la viabilità tra viale Dante e via Nasolini uscendone indenne. Si era pure scontrato con il semaforo spento di via Bianchi. Ma questa era tutta un’altra storia: un fiume in piena di auto che proveniva da Gossolengo, un altro ancora più minaccioso dalla direzione opposta.
Non c’era la minima speranza di un colpo di teatro alla milanese con doppia carreggiata occupata e sguardo minaccioso per cercare il varco giusto. Evidentemente tutti avevano avuto una pessima giornata e non erano in vena di agevolare l’immissione. Tutti tranne lei. Aveva incrociato il suo sguardo dietro al finestrino. Lei alla guida di una 500 nera, tirata a lucido. Lui al volante di una Fiat Punto che aveva visto l’ultimo autolavaggio ai tempi dei concerti al Daturi. Vedendola, aveva pure messo la freccia. Aveva forse trovato una direzione alla sua vita? Era convinto di sì, quello sguardo non poteva mentire. Era convinto di sapere tutto di lei che intanto stava rallentando vistosamente.. «Passa tu, dai». «No, no: passa tu». «Prima tu». «Non ci penso proprio: passa tu».
Era andata avanti così per qualche lunghissimo secondo. Ma un suono del clacson aveva rovinato tutto. Lei accelerò all’improvviso, lui era convinto che quel cenno di intesa fosse sincero. Ma si ritrovò il muso della 500 dritto sul cofano. No, non era filato liscio proprio nulla. Chissà che però quell’incidente non potesse trasformarsi in un approccio: l’aveva visto fare nei film. Scese dall’auto incazzato ma non troppo, lei era bella. Ma bella davvero. «Come cazzo guidi? La conosci la precedenza?» Era andata male. Ma male davvero. Quella viabilità non s’avea da fare.

Nicolò Premoli 

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