LA DESTRA CHE NON C’ERA

«Pronto».
«Pronto, camerata, come va?». 
«Ohi, ciao compagno, eheheh, come stai? E’ da un po’ che non ti sento».
«Sarà dall’ultimo convegno di Storace».
«Eh, bei tempi. Dimmi tutto».
«Volevo sapere se ieri c’eri andato».
«Dove?».
«Eh, dove, ad ascoltare quello là».
«Ah, no! Guarda, non mi interessa più niente della politica».
«Capisco, poi lui ha rovinato tutto».
«Già».

Strane telefonate volteggiavano nell’etere questa mattina. Vecchi camerati, missini e aennini che non si sentivano da anni, per lo meno dalla caduta di Alemanno da sindaco di Roma, si cercavano, si interrogavano, rivangando il passato. Perché ieri sera a Piacenza c’era Gianfranco Fini, lui, l’amore-odio della destra, l’eterno delfino che non è riuscito a fare il balzo definitivo, travolto forse dalla troppa ambizione e da qualche parente ingombrante. La voglia di essere presenti al Teatro Gioia era tanta, per missini e aennini che l’hanno sempre idolatrato e sostenuto, almeno fino all’altro ieri. Ma la rabbia per una storia che poteva avere ben altro epilogo e, forse, non essere ancora finita, ha avuto il sopravvento. La vecchia destra piacentina ieri sera non c’era, almeno a scorgere le foto dei media locali: c’era Gardi, ex di An, c’era Paparo, ma nelle vesti imprenditoriali, c’era Girometta, ex ex dirigente di destra, forse c’era qualche altro simpatizzante missino o aennino ben nascosto tra le sedie. Ma tutto il resto della destra si è dato assente, vecchi e nuovi dirigenti di quella parte politica hanno deciso di restare a casa.

«Be’ allora ci vediamo alla prossima cena».
«Si, magari il 28».
«Ok, chiamami. Ciao badogliano».
«A noi!».

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