DONNE, SANGUE, GALERA

Teresa faceva la secondina nel vecchio carcere di Piacenza. Qui racconta le sue prigioni, fra spacciatrici e detenute che prendono in ostaggio le guardie. Ecco la seconda puntata di “Processo breve”, la nostra piccola inchiesta sulla galera a Piacenza.

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: INTERNET

 Le detenute vanno tenute d’occhio anche quando sono al cesso. Questa era la regola.“Basta un attimo e tentano la fuga, dicevano i superiori, così come è un attimo che tentino di farla finita appendendosi alle stringhe delle scarpe”. Le prigioni di Teresa non avevano sbarre. Lei era fuori, con le chiavi delle celle appese alla cintura e una paura fottuta. “Là dentro non sai mai cosa ti può capitare. Tu entri, ma non sai come ne esci. Quando torni a casa ci pensi su, poi ti alzi al mattino, ti allacci i bottoni della divisa davanti allo specchio e torni dentro. Un altro giorno al gabbio”. Teresa è un’ex secondina. All’inizio degli anni Ottanta ha lavorato nel vecchio carcere di Piacenza, dietro al Tribunale. Sezione femminile. Una ventina di detenute con le braccia tatuate e poca voglia di parlare. Donne finite in cella per spaccio, corrieri della droga arrestate durante una retata, donne che erano lì per una rapina o per terrorismo. “Le politiche, come le chiamavano noi, erano le peggiori. Era quasi impossibile gestirle. Quello era il periodo delle Brigate Rosse. Facevano sul serio. C’era da aver paura”. Teresa, piacentina, è rimasta davanti alle sbarre per qualche mese. Poi non ce l’ha fatta più. “E’ difficile descrivere che cosa si prova in una galera. E’ un ambiente strano, toccante, diverso. Hai a che fare con donne che finiscono in cella e perdono tutto, mariti, figli, genitori. E tu, donna, non riesci a fare finta di niente”. Teresa ha imparato il mestiere di secondina sul campo. Prima di ottenere quel lavoro non aveva mai visto il lungo corridoio di un carcere illuminato dai neon, né aveva mai scambiato quattro chiacchiere con la complice di una banda di rapinatori. “Non sei preparata a niente. Arrivi, prendi il mazzo di chiavi e poi sei sola”.

ODIO E RISPETTO

Le donne, rispetto agli uomini, erano meno controllate e godevano di qualche ora in più di libertà vigilata. “Le detenute o ti rispettano o ti odiano. A te la scelta. Io ho sempre cercato di instaurare un rapporto di fiducia, pur senza dimenticare dove mi trovavo. Quando cerchi un dialogo devi stare attenta a non sbagliare approccio e a non dire cose sbagliate”. Teresa ha avuto davvero paura una sola volta. “Una mia collega secondina fu presa in ostaggio da una detenuta con problemi psichici. Le puntò un pezzo di vetro alla gola e la trascinò nella sua cella davanti ai miei occhi. Ero terrorizzata, ma trovai il coraggio di urlare alle altre detenute di rientrare immediatamente nelle loro celle per non fare ulteriore confusione. Non avevo armi, neppure un manganello. Nessuno le aveva, né uomini né donne. Intanto questa pazza indietreggiava con la mia collega immobilizzata e lasciava tracce di sangue per terra e sul muro”. Il sequestro durò qualche ora. “Cercai di tranquillizzare sia lei, sia la mia collega. Volevo chiamare aiuto, ma ero sola e non potevo correre il rischio di agitare la detenuta e di fare qualche sciocchezza. Per quanto fu possibile mantenni la calma, poi arrivarono i militari e riuscirono a liberare la mia collega, che tra l’altro – questo lo seppi dopo – era incinta di un mese. Quella fu l’ultima volta che la vidi. Abbandonò il lavoro il giorno stesso”.

UNA TORTA DI COMPLEANNO

Quando Teresa buttava l’occhio fuori dai corridoi poteva scorgere le sagome delle guardie che tenevano d’occhio la situazione dall’alto. Una secondina vive così, tra donne senza futuro e sbirri con lo sguardo da duri. “Ricordo perfettamente l’arrivo della cellula che trasportava i nuovi prigionieri, così come non posso dimenticare le storie che le detenute più loquaci mi raccontavano. Storie di droga, di disperazione, di vite rovinate. Ma guai a dare troppa confidenza alle recluse. Una mia collega, una volta, si lasciò persuadere da una detenuta a portarle una torta per il suo compleanno in cella. Fu licenziata all’istante”. Sono passati trent’anni. “E mi ricordo ancora tutto. E’ stata un’esperienza molto forte”. Le sue prigioni.

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