Nel 1962 un gruppo di giovani intellettuali con la barba lunga fondò una rivista culturale a tiratura nazionale. Piergiorgio Bellocchio, scuola marxista, direttore dal primo all’ultimo numero, ci racconta come andarono le cose. Ecco la prima puntata della nostra piccola inchiesta sui libri piacentini.
TESTO: FILIPPO MERLI
I giovani intellettuali avevano la barba lunga e parlavano molto. Avevano letto Marx e discutevano di politica, letteratura e filosofia. Era il 1962 e il parkour non esisteva ancora. Invece di camminare in equilibrio sulle ringhiere del Faxhall coi pantaloni larghi tipo rapper fallito from Pianello, i giovani piacentini fondarono il circolo “Incontri di cultura” che si occupava di organizzare dibattiti e proiettare filmati. Erano tutti devoti alla scuola di Francoforte, una corrente filosofica neomarxista, e tra una discussione sui massimi sistemi e l’altra si accorsero che anche scrivere poteva essere divertente. L’idea di una rivista cultuale venne a uno di loro, Piergiorgio Bellocchio, fratello del futuro regista, che un pomeriggio la propose al resto del gruppo. Nacquero i Quaderni Piacentini. “Inizialmente – racconta Bellocchio alla Batusa – ci occupammo anche di storie locali, ma col passare del tempo abbandonammo la provincia e ci dedicammo ai principali temi nazionali”. Bellocchio è stato fondatore e direttore responsabile dei Quaderni Piacentini dal primo all’ultimo numero (1984). Insieme a lui, sulla prima pagina della rivista, comparivano i nomi della scrittrice Grazia Cherchi e del saggista e critico cinematografico Goffredo Fofi. “Eravano tutti ragazzi sui trent’anni, alcuni anche più giovani” prosegue Bellocchio. “La redazione era composta da una dozzina di persone, ma c’erano parecchi collaboratori che completavano la rivista con i loro pezzi. La cosa bella era l’autogestione: facevano tutto noi, dai testi alla stampa, senza prendere una lira”.
DALLA VALNURE A ROMA
I Quaderni Piacentini raccontavano storie interessanti e approfondivano temi d’attualità. “La linea politica – dice Bellocchio – era di sinistra, ma non la sinistra partitica: avevamo una base marxista e non c’erano preclusioni verso ideali diversi dai nostri. La rivista, a diffusione nazionale, veniva letta a Piacenza come a Pistoia. Anzi, i posti in cui era maggiormente apprezzata erano le grandi città come Roma, Firenze, Torino, Bologna e Milano”. I Quaderni Piacentini avevano una fogliazione di circa 200 pagine, erano stampati con un formato simile a quello di un libro e il prezzo variava dalle 500 alle 2000 lire. Uscivano quattro-cinque volte all’anno e avevano una tiratura di oltre dodicimila copie (quattromila abbonamenti). Venivano distributi in più di cento punti vendita in tutta Italia e anticiparono il Sessantotto. Questa storia è la preferita di Bellocchio. “All’epoca – ricorda – furono in tanti a dire che i Quaderni Piacentini anticiparono il Movimento Studentesco. Già dal ‘64-65’ pubblicammo tesi e opinioni che furono poi tra le cause principali del ‘68, come un’analisi profonda della sinistra americana e una lunga analisi della guerra in Vietnam. Ricordo che nel 1968 pubblicammo un’edizione speciale di quattro numeri. Un gran bel lavoro”. Stampare la rivista era una faticaccia. “Fortunatamente avevo una rendita personale che mi consentiva di tirare avanti e di dedicarmi quasi a tempo pieno ai Quaderni” dice ancora Piergiorgio. “Dovevamo correggere le bozze, facevamo parecchie telefonate per discutere i temi da trattare e spesso ci trovavamo per buttare giù qualche idea e pianificare il nuovo numero”.
GAD LERNER UNO DI NOI
Oggi alcune copie dei Quaderni Piacentini sono in vendita alla libreria “BookBank” di via San Giovanni. Costano otto euro e sono in ottime condizioni. C’è solo qualche sottolineatura di un lettore particolarmente interessato. Appena ci vedono capiscono che siamo al verde e ci permettono gentilmente di sfogliare un vecchio numero di fine anni 60. “Molti lettori – si legge – si stupiranno di non trovare in questo numero nessun articolo o cronaca delle lotte operaie in corso. Ci è sembrato infatti che, data la nostra periodicità, i nostri tempi di stampa e data soprattutto la vastità delle situazioni di lotta, ogni cronaca sarebbe stata in ritardo. Nessuno dei nostri collaboratori si è sentito in grado o ha avuto il tempo di tentare analisi più generali e approfondite a questo punto della lotta”. Un ampio resoconto “sull’operato del sindacato e sull’intervento dei gruppi e delle avanguardie” verrà pubblicato sul numero successivo. I Quaderni Piacentini non lasciavano nulla al caso. “Abbiamo ospitato grandi firme – dice Bellocchio – come Gad Lerner, che ha collaborato con noi negli ultimi anni della rivista, o come Alfonso Berardinelli, Edoarda Masi e Sebastiano Timpanaro. Anche mio fratello Marco, all’inizio, scrisse di cinema sui Quaderni Piacentini”. L’ultimo numero è datato 1984. “Tutte le cose finiscono, e così fu per la rivista. Non ci sono motivi particolari. Semplicemente s’invecchia, sai com’è”.
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