RISTORANTE GALAPAGOS

Jhon è laureato in biologia e cucina gamberi in fondo a via Scalabrini. Tutta colpa di un’epidemia che sterminò i crostacei dell’Ecuador. “Ma presto tornerò nel mio Paese, devo convincere mia figlia a entrare nella Marina militare”. Ecco la seconda puntata di “Saludos amigos”, la nostra piccola inchiesta sui latinos a Piacenza.

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: IDEM

Jhon studiava il mare delle Galapagos e adesso cucina picanha in via Scalabrini. E’ la vita. Tutta colpa di un’epidemia di gamberi che colpì l’Ecuador nel 1999. “E io, che ero specializzato nell’analisi dei gamberi, mi ritrovai senza lavoro”. La storia di John Gonza inizia a Machala, Provincia dell’Oro, una città nel sud dell’Ecuador che esporta banane, caffè e cacao a pochi chilometri dal mare. John va in barca, pesca con la canna lunga e conosce tutti i tipi di pesci (tranne quelli che vanno al Sonnambula). Studia biologia, si laurea e si specializza nell’allevamento di crostacei e molluschi. “Poi, nel ’99, un virus ha sterminato il 90 per cento della produzione di gamberi e cozze, e così chi lavorava in quell’ambito – operai, dirigenti d’azienda, pescatori – ha perso il lavoro, me compreso”. Jhon ha un paio di amici ecuadoriani che sono emigrati a Piacenza. Sono loro che gli dicono di venire qui a cercare un posto. “In Ecuador – dice Jhon alla Batusa – la vita non è semplice, soprattutto in questo periodo. Se non ti conoscono e se non sai quali zone frequentare e quali è meglio evitare, può capitare che ti puntino una pistola al fianco e che ti chiedano il portafogli. Devi fare attenzione, anche se la delinquenza è in tutto il mondo”. Jhon è arrivato in Italia dodici anni fa e nel 2008 ha aperto il ristorante “Galapagos” in fondo a via Scalabrini, molto pesce e grandi gamberi. “Sono la mia specialità: umidi, fritti, impanati, alla piastra. Diciamo che ho messo a frutto i miei studi di biologia e la mia specializzazione nei crostacei per saltarli in padella”.

LA MUSICA SPACCA, MA NON SIAMO AL BOERI

Entriamo. Nel primo tavolo sulla destra c’è la moglie di John che sta cenando con un paio di amici. L’ambiente è semplice, conviviale, come direbbe Nereo. Alle pareti sono appese due bandiere, una del Barcelona – una squadra di calcio ecuadoriana, anche se lo stemma è lo stesso del Barça – con la scritta “el idolo” e l’altra dell’Emelec – la squadra rivale – con la scritta “ya ya lo ve”. In fondo al locale c’è una foto delle isole Galapagos, che Jhon ha visitato ai tempi dell’università. “Hai presente quando parlano di paradiso terrestre? Ecco, è quello”. Jhon va dietro al bancone, sotto alla dispensa coi liquori. Lo stereo passa un brano latinoamericano. Spacca. Se fossimo al Boeri ci sarebbe la gente sui tavoli. “I piacentini – racconta – apprezzano la mia cucina, anche se è molto differente dalla loro. Prima di tutto non serviamo pane, solo riso, e facciamo piatti unici. Se adesso vado di là e ti cucino un piattone di pesce e verdure, stai sicuro che dopo non hai più fame”. Sono le 18,30 e il ristorante, a parte la moglie e gli amici di Jhon, è ancora vuoto. “Qui vengono ecuadoriani, colombiani, dominicani, peruviani, honduregni, cubani. Oltre agli italiani, ovviamente. I sudamericani stanno per i fatti loro, salutano i loro connazionali, si siedono e mangiano”.

SE FOSSI MIO FIGLIO…

Jhon ha una figlia di tredici anni che è rimasta in Ecuador a studiare. “Non ho nulla contro il vostro sistema scolastico, ma penso che gli italiani siano troppo permissivi con i giovani. Ai ragazzi italiani non importa molto dello studio, mentre per me è fondamentale, e voglio che lo sia anche per mia figlia. Nel mio Paese c’è più controllo sui figli e sui giovani, c’è un’educazione più rigida”. Scusa Jhon, ma si sente parlare spesso di giovani latinos che si fanno la guerra divisi in bande. “Anche questo, purtroppo, è vero. E non è che le bande si formano al loro arrivo in Italia, ci sono anche in Ecuador e in tutta l’America Latina. E’ un grande problema e temo anche per mia figlia. E’ un attimo finire in un brutto giro, anche perché spesso i giovani ti spingono a entrarci. A casa con lei c’è la nonna e io la sento tutti i giorni al telefono. Sia io sia mia moglie le diciamo di tenerci informati su tutto quello che succede a scuola, e se dovesse succedere che qualcuno la inviti a entrare in una banda, beh, prenderei il primo aereo e andrei a parlare con lei. Lo farò presto, tra quattro o cinque mesi. Venderò il locale e tornerò in Ecuador. Ho studiato biologia e la mia passione è il mare, è ora che torni a fare il mio lavoro. E anche mia figlia, quando avrà terminato gli studi, vorrei che si dedicasse alla stessa cosa. Sto cercando di indirizzarla, di spingerla a percorrere la carriera nella Marina militare. T’immagini? Sei sempre in giro in nave, vedi un sacco di posti. Per lei sarà una grande esperienza”. E se volesse fare, che so, la cantante? “No no. Entrerà in marina e andrà per mare. Per esempio, tua mamma cosa voleva che facessi?”. Che prendessi una laurea. “E l’hai presa?” No, non ho preso neanche la patente. “Vedi? In Italia c’è poco controllo sui giovani. Se fossi mio figlio…”. Avresti qualche bottiglia in meno nella dispensa, caro Jhon.

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