ORECCHINI, GESTI, MAGLIETTE POP

I movimenti studiati, l’abbigliamento ricercato, l’anello d’oro al pollice. Parla senza pause, cita Brecht e Berlinguer, parte dal basso per arrivare al climax con la piena consapevolezza che il pubblico applaudirà. E quando dice cose come “sussidiarietà” esce la zeppola senza la quale Nichi Vendola non sarebbe mai stato imitato da Checco Zalone. 

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TESTO: FILIPPO MERLI; FOTOGRAFIE: IDEM

Il Nichi Vendola di Checco Zalone è perfetto. La gestualità, l’abbigliamento curato, gli acuti che strappano applausi anche a chi pensa che Sel sia l’acerrimo nemico di Goku nei manga di Dragon Ball. E poi c’è la esse rimarcata, la zeppola senza la quale Nichi Vendola non sarebbe lo stesso. E’ un personaggio caratteristico e quindi facile da imitare: basta osservare i movimenti e riprodurli senza esagerare con la caricatura. Chi ieri sera è andato in Sant’Ilario a sentire il leader di Sinistra Ecologia Libertà non si è annoiato. Cosa che, quando c’è la politica e un politico di mezzo, accade spesso. Vendola è scenografico al punto giusto: non eccede, ma si vede che la postura e i gesti sono provati e riprovati in allenamento. Sa quando alzare i toni e quando abbassarli, sa quando caricare gli accenti e quando fare una pausa per permettere al pubblico di metabolizzare l’ultima citazione di Bertolt Brecht. Parla un politichese sciolto e non troppo difficile da comprendere, anche se a volte gli scappano paroloni e termini specifici che la gente non capisce. Ma nel complesso Nichi Vendola sa come si parla a una folla stufa di sentire i politici parlare. Arriva puntuale in Sant’Ilario dopo un caffè al Barino. Ad attenderlo ci sono un paio di volanti della polizia e due bandiere di Sel appese fuori dalla porta. Porta un anello d’oro al pollice destro e l’orecchino al lobo sinistro. La giacca a righe è leggermente lunga in vita, ma è perfetta sulle maniche. La maglietta nera a girocollo è molto più pop di qualunque camicia. Vendola conosce il rito dei giornalisti locali, che fanno le interviste prima del discorso per poter avere il tempo di spedire il pezzo in redazione. Allora si concede ai cronisti, che lo circondano e lo registrano col telefonino.

DAL BASSO VERSO IL CLIMAX

Poi sale sul palco. Ad attenderlo ci sono i tre candidati piacentini di Sel: Emanuela Schiaffonati, Michele Rizzitiello e Giuseppe Mori. I primi due correranno per la Camera, mentre Mori per il Senato. Tutte le sedie sono occupate. C’è anche gente in piedi, come l’onorevole del Partito Democratico, o Pd, Paola De Micheli e il tizio che indossa una maglietta con la scritta “Fornero vattene” sul davanti e “esodati in cerca di futuro” sul retro. Vendola prende posto al tavolo, svita il tappo di una bottiglietta e si versa un po’ d’acqua, poi si alza, va al leggio e cala il silenzio in sala. L’attacco del suo discorso è scontato: qualche ora prima Silvio Berlusconi ha dichiarato che “Mussolini fece cose buone” scatenando polemiche e indignazione. I piacentini se l’aspettano e Vendola non li delude. “Il negazionismo – dice – è una delle infezioni che ha portato a un regresso civile e morale. Rappresentare il fascismo come un fenomeno bonario rispetto al nazismo cattivo, dimenticare cosa sono stati i treni che partivano per i campi di concentramento, il confino, l’esilio, gli omicidi perché Berlusconi con questa sporcizia deve convivere perché deve prendere i voti di Casa Pound è insopportabile”. Vendola parte fortissimo, urla, si agita, si fa subito sentire. Si gira a destra e a sinistra sempre con i piedi uniti, non sposta solo la testa ma tutto il corpo, allarga le mani per sottolineare un concetto importante e non ha mai lo sguardo perso nel vuoto, ma sempre puntato sulle prime file. Quando si tocca il sopracciglio sinistro è il segnale: Nichi sta per spararla grossa e aspetta di ricevere l’applauso del pubblico. Cita Brecht, Berlinguer e Obama, se la prende con Radio Maria, dice che la Russia di Putin è una caserma, strappa una risata al pubblico quando dice di essere indagato per reato di poesia. I suoi candidati lo guardano e annuiscono, sì, sì, sì, certo, ovvio, lui rincara la dose: “Il mio vero avversario è Monti”. Poi passa all’ecologia e si esalta col sottosuolo e col rapporto armonico che dev’esserci tra territorio urbano e territorio rurale. Le pause sono brevi, Vendola non lascia mai il discorso in sospeso. “Il mondo si cambia con la cultura” dice con calma, in modo solenne, con un tono di voce che parte dal basso e sale verso l’alto per arrivare al climax del suo pensiero, con la piena consapevolezza che appena chiuderà l’ultima frase il pubblico applaudirà. La zeppola marcata che esce fuori quando dice “sussidiarietà”, “secolo passato”, “sedi istituzionali”, “sovrano assiso” è il marchio di fabbrica senza il quale Vendola non sarebbe Vendola. E’ la caratteristiche senza la quale non sarebbe mai stato imitato alla perfezione da Checco Zalone.

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