La Batusa

NEREO

Gli amari erano il Viagra degli anni ’80. C’è un posto a Piacenza in cui il tempo – e le bottiglie di Vov – sembra essersi fermato. E’ una pizzeria tradizionale, con le panche di legno e gli antipasti con la cozza che punta verso Sud. Nereo ha mangiato una pizza coi würstel ed è tornato ragazzo.

TESTO: NEREO TRABACCHI; FOTO: ARCHIVIO TRABACCHI

C’è un posto a Piacenza dove, se condotti bendati, alla riapertura degli occhi si può pensare di essere ancora nel 1985 e aver sognato la vita degli ultimi 28 anni. Chiaramente questo locale non può essere altro che la pizzeria Marechiaro. Entrato domenica dopo tanto tempo, sono subito certo, anzi certissimo, che non sia cambiata una virgola da quando, quattordicenne, con 15mila lire mangiavo la Margherita, bevevo una Coca e poi riuscivo a farci stare dentro la galleria del Politeama per il filmetto del sabato sera (solo per la cronaca locale, la platea costava 6mila lire, e i miei genitori insistevano andassi lì perché “in alto” potevano esserci i militari che infastidivano i ragazzini. Orde di militari che riempivano dalle 18 alle 22 il centro storico, all’epoca spesso guardati male, oggi rimpianti da tantissimi locandieri e commercianti).
Ma torniamo ai giorni nostri (si fa per dire) e continuiamo a parlare della pizzeria aperta dal signor Esposito. All’ingresso il piccolo bancone sulla destra ha visto più gomiti appoggiati in attesa della pizza “a portar via” (via dove poi?) di una balaustra sulla Senna. La selezione classica degli amari alle spalle è un sunto di pubblicità televisiva anni ’80. Digestivi per: ruttare, digerire, anti acido, socializzare, Milano da bere, Nocino polifemo, e la mitica bottiglia bianca di Vov che non vedevo dalla finale di Spagna ’82 (ricordiamo che nell’85 gli amari erano l’unica alternativa emotiva al viagra). Sulla sinistra piccola vetrinetta c-l-a-s-s-i-c-i-s-s-i-m-a, con antipasti già impiattatti tutti esattamente uguali con la cozza che punta verso sud. Non ho assaggiato ma la faccia era bella.
Panche di legno sulle quali mi aspettavo di vedere incisi i nomi delle famiglie più devote, come accade in quei luoghi denominati chiese, e pavimento di quel colore furbo che anche se si sporca, per un po’ lo porta via bene. Ma la vera perla dove mi rimane? Eh? Eh? Dove mi rimane? Chiaramente sul fondo del locale, dove l’esperto pizzaiolo ormai ha assunto la posizione naturale delle braccia avanzate per impastare e la testa girata in alto sulla destra per guardare la televisione. Se gliela spengono lui si ferma, non ne stacca mai lo sguardo. Il sabato per riuscire nel triplo turno (altro ricordo anni ’80) prima gli mandano in onda la partita, poi le puntate registrate in settimana di Beautiful, che lo spingono a un ritmo di 20 pizze ogni quarto d’ora. E il risultato c’è, perché la mia pizza con i würstel (doppia farcitura uguale 3 rotelle di würstel in più), filo di olio piccante, ben cotta, per favore sono figo già tagliata, è davvero buona. Bella spessa, pommarola, e cotta alla perfezione. Basta con queste psico-pizze a trancioni o come vogliono le fighettine “sottiline e secche” perché così credono faccia ingrassare di meno e andare al cesso di più. Vedo passare anche le altre e paiono tutte degne di nota (le pizze, non le fighettine).
Chiaramente anche altri piatti vintage sono rimasti: spaghetti vongole, cartoccio, cocktail gamberi in salsa rosissima. E poi lui! Il ricordo del mio passato culinario giovanile di quando non sapevo nulla: le tre balle di profiteroles della Bindi che ti fa lievitare il conto di 4 euro, ma la cazzata, se si fa, si deve fare bene. Insomma, qualità a mio avviso accorta, e uno dei pochi posti in centro dove puoi mangiare un piatto di pasta decente in tutta velocità. Quando stavo per uscire mi sono voltato ancora una volta perché sono stato assalito da un tragico dubbio: anche i gestori in tutti questi anni non sono invecchiati di un soffio. Sarà l’alimentazione. Al prossimo boccone.