Nereo si è fatto vivo dopo la pausa pranzo e ha detto la sua su quello che è capitato a Giorgio Lambri.

TESTO: NEREO TRABACCHI; FOTO: INTERNET

Scusate il ritardo, ma stavo iniziando a dubitare del mio ateismo là dove trovandomi laringectomizzato da una lumaca esofagica, solo un’eruttazione mi ha salvato la vita nella pausa pranzo. Vai a scrivere per la Batusa… Ebbene sì, purtroppo io non c’ero. Quando hanno tolto la sella all’amico Giorgio Lambri, io purtroppo non c’ero. Un fattaccio. Una di quelle cose che vorrei accadessero a me per poter gridare la frase che tanto amo: “Le farò scrivere dal mio avvocato…”, che poi la maggior parte delle cose le fa scrivere a me) . L’autocontrollo di Giorgio quando i carabinieri gli hanno tolto la picùla da sotto il naso sarebbe da incorniciare, come le sue parole sempre attente e veritiere; e non lo dico solo perché amico, e lui lo sa. Soprattutto su una cosa mi trova concorde e mi ha strappato un onesto sorriso: che in questi giorni, per la faccenda della carne di cavallo, le televisioni usano le stesse note tragiche dell’11 settembre. Il piatto orgoglio cittadino deve essere rispettato e controllato, ma non perseguitato. Concordo con gli animalisti che condannano gli allevamenti intensivi (anche se mi cibo spesso di fegato di oca torturata), ma per coerenza e rispetto, se si deve combattere per gli animali stile Brambilla che vuole i cavalli classificati come bestie da compagnia, ciò deve democraticamente avvenire anche per l’anguilla/capitone, altra grande ricetta biancorossa, e che vedo molti allevare per combattere la solitudine. E qui purtroppo non scherzo: nel 1963, mia nonna comprò un capitone sul mercato, che ancora vivo gli fuggì dalla borsina scappando nel pieno di Piazza Cavalli… Lo rincorse, ma non lo acchiappò mai.