PEZZI POP E TAVERNELLO

Dave è piuttosto conosciuto: canta sul Corso, beve vino scadente e ha scritto una canzone che si chiama Piacenza. Parla di quando, una sera di qualche anno fa, arrivò dall’America e fu sfamato in un bar di via Venturini con salame e Gutturnio. Noi della Batusa, che siamo sempre sul pezzo, quella sera eravamo presenti. 

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TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: FACEBOOK

Dave canta in inglese misto Tavernello. Ha sempre le guance rosse per il vino, scrive pezzi pop ed è amico del sindaco Dosi su Facebook. Dave è una di quelle persone che non passano inosservate. Sarà perché canta sul Corso e veste in modo strano, con un vecchio cappello messo un po’ sbilenco sulla testa e i calzoni troppo corti. A Piacenza è piuttosto conosciuto, la gente si ferma a sentirlo suonare durante le vasche del sabato pomeriggio e gli offre volentieri un giro. Qualche giorno fa Dave era al tavolo di un bar del centro con una giovane coppia che l’ascoltava senza capire una parola e a cui non fregava nulla di sentire i suoi racconti, ma Dave è riuscito comunque a scroccare un bicchiere. A prima vista può sembrare un ubriacone, un vecchio pazzo, un postino fallito, ma in realtà Dave è un cantautore che gira il mondo con la chitarra in spalla e un libro di poesie di Walt Whitman. E’ nato in Inghilterra, ha vissuto in America, ha un cognome francese (Delacroix) e sta pensando di trasferirsi definitivamente qui. Quando si mette sul Corso e vuole attirare l’attenzione, Dave beve un goccio e attacca un pezzo che si chiama Piacenza. Il brano è su iTunes e pare che sia parecchio scaricato. Parla della prima volta che Dave arrivò per caso a Piacenza con un diretto proveniente da Milano. Era una sera di qualche anno fa e noi della Batusa c’eravamo.

SBRONZI MOLESTI E ACCATTONI INSISTENTI
Erano più o meno le 21. Al bar Caffelatte di via Venturini era arrivato il momento mistico, quello in cui il proprietario chiude la porta e resta con pochi clienti fissi per il bicchiere della staffa. Le sedie erano sui tavoli, c’era odore di candeggina e la radio passava un pezzo country. Parlavamo di donne e motori quando a un certo punto comparve uno strano tizio sulla porta. Chi frequenta i bar e ha imparato a stare al mondo coi gomiti sul bancone sa benissimo che a una certa ora è facile imbattersi in sbronzi molesti o accattoni insistenti, ma quella sera, chissà perché, Davide, il proprietario, aprì. Il tizio restò sulla porta, disse di chiamarsi Dave e di essere stato derubato alla stazione di Milano. Aveva solo qualche spicciolo e il vino era finito. Disse di essere un artista, un cantautore, e alla fine il barista lo fece entrare. Dave si sedette a un tavolo libero e ordinò qualcosa, e subito i clienti iniziarono a fargli domande sul motivo di quella chitarra riposta in una custodia impolverata.

STREETS OF DENVER
Alla fine raggiungemmo un compromesso: un paio di canzoni in cambio di un salame e di una bottiglia di Gutturnio. Dave accettò e iniziò a cantare. Piacevole. Non capivano il significato delle parole, ma in fondo non ci importava. Alla fine Dave restò un’oretta, ci ringraziò dell’ospitalità, si toccò il cappello e uscì. Non avemmo più sue notizie per un paio d’anni. Incontrammo altri avventori occasionali e bevemmo con altri artisti (presunti scrittori, pittori anarcoidi, calciatori di Terza categoria), fino a quando, due anni dopo, al bar arrivò un pacco dagli Stati Uniti. Sulla busta, oltre all’indirizzo, c’era una firma scritta con un corsivo elegante: Dave Delacroix. Il barista aprì il pacco e scoprì il contenuto. Era un cd. Sulla copertina c’era il volto di Dave. Aveva il solito cappello e una sigaretta nell’angolo della bocca. L’album si chiamava Streets of Denver e, tra le 11 canzoni, ce n’era una che s’intitolava Piacenza. Il barista lo buttò su e capimmo facilmente che il pezzo era il racconto di quella sera di due anni prima, quando Dave, senza soldi e senza Tavernello, bussò alla porta del bar Caffelatte, citato all’inizio della canzone. Il modo migliore per ringraziarlo fu aprire una bottiglia e brindare a lui, il cantautore pop che scambiò Gutturnio e salame con un paio di canzoni (onestamente non ricordiamo come andò a finire la bevuta in suo onore, quindi andò a finire benissimo).

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