PARKOUR DE FRANCE

Esistono davvero. Li abbiamo visti. Hanno lo zainetto, i pantaloncini corti e camminano in piedi sulle ringhiere. Sono quelli che fanno parkour, il nuovo sport da strada. Noi continuiamo a preferire il sollevamento del bicchiere.

parkour

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: IDEM

Eravamo sulla solita panchina del Facsal a sentire il canto delle cicale. Un buon libro (“Un anello da Tiffany” di Lauren Weisberger, amore, tradimenti, lunghe chiacchierate dall’hair stylist e intense sedute di yoga, un vero capolavoro), una lattina di birra Mastro e gli occhiali da sole: eravamo in pace con noi stessi, i cani scorrazzavano liberi, i vecchi parlavano di Carlitos Tevez, i bambini giocavano a palla e le badanti leggevano riviste di gossip accanto ai loro assistiti. Insomma, pareva che niente e nessuno potesse interrompere quell’attimo di quiete e felicità. Finché, proprio mentre stavamo leggendo le pagine più interessanti del libro, quando le amiche escogitano un piano diabolico per vendicarsi dei loro uomini fedifraghi, non abbiamo visto un tizio in piedi sulla ringhiera. Ci siamo precipitati verso di lui e lo abbiamo afferrato per un braccio: “No, no, che fai? Vedrai, le cose andranno meglio, troverai presto un’altra ragazza, tutti abbiamo toccando il fondo e tutti in un modo o nell’altro siamo risaliti, non ti merita, è meglio così, fidati”. Il tizio ci ha guardato con aria interrogativa. E’ sceso dalla nostra parte e ha sorriso: “Hey, sto solo facendo parkour…”. Sì, ne avevamo sentito parlare. Abbiamo letto anche qualcosa in proposito: praticamente il parkour è il nuovo sport da strada e consiste nell’arrampicarsi su quello che si trova in giro facendo contemporaneamente delle evoluzioni. Una vera perdita di tempo, molto meglio “Un anello da Tiffany”, ma questi comunque non sono affari nostri. Così abbiamo lasciato andare il tizio che ha ripreso il suo cammino sulla ringhiera.
Ormai è diventata un’abitudine. Quando siamo sul Facsal, più o meno sempre alla stessa ora, nello spiazzo riservato ai cani arrivano tre o quattro ragazzi con lo zainetto e i pantaloncini corti. Fanno un po’ di stretching, parlottano un po’, qualcuno si toglie la maglietta e la lega in vita, poi parte il primo: sale in piedi sulla ringhiera, allarga le braccia per stare in equilibrio e inizia a camminare lentamente. Quando incontra un ostacolo – per esempio, c’è un punto in cui i rami dei platani intralciano il passaggio – si mettono a quattro zampe e si aiutano con le mani. Poi si rialzano e vanno avanti in posizione eretta. Gli altri aspettano qualche minuto per non accavallarsi al primo che è partito e quando vedono che è abbastanza lontano, oplà, salgono sulla ringhiera e iniziano il loro percorso. Sulle prime ci pareva una situazione un po’ strana: noi lì seduti a leggere e questi che ci passavano davanti in processione in piedi sulla ringhiera. Ammettiamo pure che un paio di volte ci è venuta la tentazione di spingerli giù e di dire loro “ma perché? Non potete andare sul marciapiede come fanno tutte le persone normali?”. Poi, come detto, ci siamo abituati e adesso “quelli che fanno parkour” – non sappiamo se c’è un termine preciso – ci tengono compagnia quasi ogni sera. Noi sentiamo il canto della cicale e loro camminano sulla ringhiera. Una volta ci hanno chiesto di provare. Noi, che non saltiamo un muretto dal ’93, abbiamo gentilmente declinato e abbiamo ricambiato invitandoli a sedersi sulla nostra panchina per provare il nostro sport preferito, molto meno pericoloso e decisamente più gratificante: il sollevamento del bicchiere.

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