La Batusa

W LA PASSERINI

Se il colonizzatore fa a gara a chi apre gli occhi prima con i polli dell’Avicola Valnure, il ritardatario riesce ogni giorno che passa a bruciare record su record sul fronte opposto: dormire amabilmente cercando di svegliarsi quanto più possibile a cavallo dell’agognato mezzogiorno. Si tratta di una categoria malvista, una categoria che tuttavia raccoglie sempre nuovi seguaci. Parliamoci chiaro: ognuno di noi ha un amico ritardatario, magari un amico di lunga data, magari un compagno di corso con il quale si è deciso di preparare quel maledetto esame che non vuol saperne di finire sul libretto. Un compagno di corso che ha il maledettissimo vizio di arrivare quando gli altri si stanno già mobilitando per il pranzo. Quando gli altri hanno già letto due volte un libro da 100 pagine e fumato un pacchetto di sigarette da 10. I motivi che spingono il ritardatario ad arrivare diverse ore dopo (magari fossero minuti, qui siamo dinanzi ad un professionista) l’orario prefissato sono tanto disparati quando difficilmente credibili e soprattutto “sostenibili” per chi li ascolta. Spesso sono chiamati in causa eventi degni del miglior film di fantascienza: “scusa per il ritardo; mi è esplosa la macchinetta del caffè e mi sono medicato da solo estraendo i pezzi di metallo dalla mia arcata sopraccigliare”.
Chi non ha mai fatto saltare in aria una caffettiera Bialetti, cimelio di famiglia tramandato dalla bisnonna? Dai, una volta può anche capitare: magari si è persa la cognizione del tempo guardando Instagram o Facebook sulla tazza del water…ma la vena tragica che viene dipinta dal ritardatario per ogni stramaledettissimo ritardo assume i contorni del grottesco, di una dimensione dove anche le previsioni meteo a lungo termine possono azzeccarci. Quello che passa nella mente di chi aspetta meriterebbe una tesi di laurea, come minimo: inizialmente ci si siede, magari su una panchina o sulle rastrelliere delle bici rimaste libere, fissando un punto qualsiasi di Via Roma o Via Romagnosi nella vana speranza di veder comparire la sagoma dell’amico. Inutile dire che in quello scorcio, su quei cubetti di porfido, transiterà metà della popolazione piacentina, magari sul 15, magari in bicicletta, ma con l’esclusione del benamato ritardatario.
Chi non ha  esperienza nel settore (sì, ci sono passato anch’io) talvolta ha aspettato una buona mezz’ora a menocinquegradicentigradi o a trentaduegradiconilnovantapercentodiumidità riuscendo anche a scambiare due parole con strani personaggi. Superata la prima fase (di durata variabile a seconda delle esperienze pregresse) insorge in chi aspetta un senso di smarrimento: non resta che depositare la patente ricevere la chiave dell’armadietto, chiudere zaino e istinti omicidi verso il ritardatario nell’apposito armadietto e salire le scale digitando nervosamente sul cellulare messaggi più o meno minatori, messaggi che riflettono lo stato d’animo di chi li compone: si passa da un “Oh, io vado su!Fammi sapere quando arrivi che beviamo un caffè” (chiaro esempio di studente distante un mese e più dall’esame) a testi minatori come “Ma dove sei??Ti muovi o no??Dai che sennò non ti tengo il posto” (chiaro esempio di studente distante un giorno o meno dall’esame). Le risposte? Perché, pretendete anche una risposta? Suvvia, siamo seri: è già tanto se il ritardatario li legge i messaggi, a volte si riaddormenta dopo aver superato la schermata di sblocco. Ormai seduto, con il libro aperto e la Monumentale piena, chi aspetta ha quasi esaurito le speranze: fuori, a seconda della stagione, la neve cade sul tetto che ormai cade a pezzi o il sole è alto in cielo e picchia sui finestroni. Nonostante le minacce precedenti il posto al suo fianco, l’ultimo rimasto, è ancora libero ed aspetta il ritardatario. Perché nonostante ore di ritardo che si accumulano negli anni, messggi più o meno minatori e risvegli falliti chi aspetta vuole bene al ritardatario. “Scusa per il ritardo…ti va di bere un caffè? Offro io”, “Ci sta! Poi però mettiti a studiare che sono le 11:30”, “Ok, domani sarò qui alle 9”: chi aspetta sa che domani non andrà affatto così ma sorride mentre seleziona il caffè, quello buono, alle macchinette. La neve o il sole sono ancora lì, ma ci sia caldo o freddo, è sempre in letargo. E quando si risveglia di solito è lunedì mattina, quando la Passerini è chiusa.