RECENSIRE TUTTO: AVEVA RAGIONE KT, LA PISTA DI PATTINAGGIO STAVA BENE IN PIAZZA CAVALLI

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TESTO: FILIPPO MERLI; FOTOGRAFIE: IDEM

Aveva ragione KT. La pista di pattinaggio sul ghiaccio stava bene in Piazza Cavalli. Lì dov’è ora, sotto al Facsal, rende fino a un certo punto. Manca la magia, quella magia che KT conosce bene. La prima e ultima volta che ho indossato un paio di pattini ci ho rimesso il menisco. Volevo stupire, volevo dimostrare che se i miei amici erano in grado di farlo, io non potevo essere da meno. Non erano pattini in linea e tanto meno pattini da ghiaccio (hanno un nome?). Erano quegli affari a rotelle che si compravano da Grazzini. Ovviamente, dato che se faccio una cosa la faccio bene, avevo preso il caschetto e le protezioni per i gomiti e per le ginocchia. Non sapevo frenare, ma non aveva la minima importanza. Nella vita bisogna correre, non fermarsi. Così presi i pattini, li indossai sui calzettoni della Juve e mi lanciai nel cortile casa. Coordinazione perfetta, braccia e gambe, un due un due, ritmo, grazia, stile. Un giro, due giri, tre giri, poi le mie velleità di pattinatore si spensero sul portellone del garage. Mi tolsi i pattini, infilai il cinturone e andai a caccia di indiani. Più pratico e molto meno rischioso.  Quelli che vanno sui pattini sono una categoria di essere umani a sé stanti che ho sempre guardato con un po’ di diffidenza. Sono capaci di non pattinare tutto l’anno, poi arriva l’inverno, il Comune installa la pista di pattinaggio e volano sul ghiaccio. Mi piacerebbe essere come loro (non è vero), ma non avrò mai quel coraggio, quella spavalderia di spingere al massimo in una pista sotto al Facsal col rischio di linciare un bambino di cinque anni che ha ancora un futuro davanti a sé. Un mio caro amico ci ha provato in montagna. S’è messo i pattini e s’è spinto sul ghiaccio dopo aver bevuto un paio di bicchieri di troppo. L’unico ghiaccio che ricorda è quello in busta che tenne sul gomito per un paio di settimane. Il fatto è che pattinare non è semplice. Non è come fare, che so, il grillino: lì, oltre a parlare, devi anche agire. Testa-braccia-busto-gambe-piedi. Troppe cose tutte in una volta.

FURIA CIECA

Quando sono arrivato sul Facsal mi sono concentrato su tutto meno che sulla pista di pattinaggio sul ghiaccio. Noto subito un enorme Babbo Natale gonfiabile che fa il saluto comunista.

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Poi, passato Babbo Natale, mi sono diretto sul tiro a segno, un altro svago che non risponde esattamente alla mia idea di divertimento. Anche qui è necessario un aneddoto. Roma, qualche estate fa. Baracconi sulle sponde del Tevere. Tiro a segno. Un gigantesco pupazzo di Hello Kitty mi fissa negli occhi. Fingo di ignorarlo, ma so che non mi posso tirare indietro. Ormai è una sfida tra me e lui. Voglio vincerlo per regalarlo alla mia ragazza. Se l’avessi vinto, la mia ragazza per una mezz’oretta si sarebbe concentrata sul pupazzo e mi avrebbe lasciato perdere. Mi avvicino alla tizia con la bandana e le allungo un biglietto da dieci. “Pistola o carabina?”. Che domande. Voglio un’arma corta, agile, facile da maneggiare e a canna corta. “Pistola, bellezza”. Per capire bene questa storia dovete prima sapere che mi mancano cinque decimi per occhio. Così, quando la tizia con la bandana mi invita a togliere gli occhiali per mettere quelli protettivi, le lattine di Coca Cola che dovevo abbattere per vincere il pupazzo diventano tante piccole macchie rosse.  Inizio a sparare all’impazzata. Furia cieca. Non mi avranno mai vivo. Non ne becco una e quando sfioro l’occhio sinistro della tizia con la bandana, la tizia con la bandana mi dà un peluche piccolo e sporco e mi disarma. Soffio sulla canna e lo consegno alla mia ragazza. Mi ha lasciato poco dopo. Memore di quell’evento, rinuncio a sparare e, ignorando ancora la pista di pattinaggio, mi avvicino a quel coso col pallone, quel gioco in cui devi piazzare una minella terrificante per fare il maggior numero di punti.

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Mi viene voglia di sputtanare cinque euro per prendere una rincorsa alla Roberto Carlos e tirare con le tre dita. Poi mi ricordo che ho 27 anni. Proseguo e arrivo al pungiball, quel macchinario che consente di dimostrare la propria virilità alle tredicenni, ma dare un destro a una palla medica attaccata a un palo di ferro non è esattamente la mia miglior prospettiva di vita. Lascio perdere anche stavolta.

PADRI DI FAMIGLIA, PROFESSIONISTI, BULLI DEL GHIACCIO

Tralascio le crêpe alla Nutella e lo zucchero filato (mi viene il mal di denti solo a guardarli; sono un peso, lo so) e non mi rimane altro da fare che concentrarmi sulla pista di pattinaggio sul ghiaccio. Ci metto poco per capire che i pattinatori si dividono in diverse categorie. La prima è quella riservata ai padri di famiglia. Sanno bene che alla loro età la frattura del femore può essere letale, eppure accompagnano ugualmente i figli a pattinare. Li riconosci subito perché, mentre il figlio fa le piroette e li doppia a ogni giro, lo sono rigidi, non mollano mai la ringhiera e per progredire alternano una spinta con la mano ad alcuni piccoli passettini. Intanto la moglie fa “ciao ciao” con la manina e scatta una foto mentre ripensa al giorno in cui si sono incontrati, maledicendo quegli attimi. Lui, martoriato dai crampi, segue il figlio per un po’, poi abbandona la pista ma resta attaccato alla ringhiera. La seconda categoria è quella dei professionisti. Questi strani personaggi prendono tutto molto sul serio. Pattinano con una mano dietro la schiena mentre l’altra oscilla avanti e indietro, come nel pattinaggio di velocità, vanno fortissimo e concludono la loro personale esibizione con un triplo Axel senza che se li fili nessuno, non prima di aver preso per il culo il bambino di sette anni che arranca alle loro spalle. Pivello. Poi ci sono i bulli, che non possono mai mancare. Creano scompiglio in pista, pattinano con la gomma da masticare tra i denti, fanno il pelo agli altri e appena hanno terminato di pattinare s’accendono una paglia coi polmoni aperti e si sistemano il ciuffo. Il resto è il popolo del pattinaggio, vale a dire la moltitudine, la massa. Chi sa pattinare bene e chi sta in piedi, chi ogni tanto cade e chi va sereno, ma questa tipologia generale di pattinatori non offre spunti particolari. Noto che per favorire i bambini gli organizzatori hanno messo a disposizione alcuni pinguini piuttosto inquietanti a cui aggrapparsi per non cadere. Vado a chiedere se è possibile portarne a casa uno da tenere in camera, ma la risposta è negativa. A questo punto non mi rimane altro da fare che tornare a casa con la netta sensazione che KT avesse pienamente ragione. La pista di pattinaggio sul ghiaccio in Piazza Cavalli sarebbe stata tutta un’altra cosa, coi pullman e i banchi del mercato sullo sfondo. Certo, forse ci avremmo rimesso il lastricato e avremmo fatto incazzare Vittorio Sgarbi, ma gli sarebbe passata, e poi avremmo potuto tranquillamente sostituire i lastricati con quelli di Piazza Borgo. In fondo in Piazza Cavalli ci sarebbe stata la magia. Ma la magia, a Piacenza, è roba per assessori romantici.

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1 Comment on "RECENSIRE TUTTO: AVEVA RAGIONE KT, LA PISTA DI PATTINAGGIO STAVA BENE IN PIAZZA CAVALLI"

  1. Mi piace il racconto. Coraggioso e ironico, due qualità poco cittadine. In ogni caso aveva ragione cappa ti…e del Vittorio criticone non m’importa un fico secco. Ciao scrittore, deliziaci.

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