COSÌ IL CINESE È DIVENTATO IL NINJA

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Radja faceva collezione di cappellini tamarri. Tutti i giorni arrivava al campo d’allenamento e ne aveva uno diverso. Erano quelli con l’ala dritta da portare un po’ sbilenchi sulla testa, con gli stemmi delle squadre americane di Nba, di football e di baseball. La passione per i cappellini gli è rimasta, anche se d’inverno preferisce le cuffie messe sempre un po’ storte, come quella che indossava quando è arrivato a Fiumicino dopo aver ufficializzato il suo trasferimento dal Cagliari alla Roma. Però Radja calcisticamente è nato qui. Chiunque segua il Piacenza se lo ricorda bene. All’inizio, nella Primavera di Luciano Bruni, Radja giocava attaccante, più precisamente esterno nel tridente composto da lui, Ciarrocchi e Piccolo. Ciarrocchi era un madonnone svizzero che la buttava dentro con regolarità (oggi gioca nel Chiasso), mentre Piccolo doveva essere il più forte dei tre, quello strappato dall’allora diesse biancorosso, Renzo Castagnini, alla Juve e al Napoli (ora gioca nel Lanciano). Tutti e tre classe 1988, come Tommaso Bianchi, che all’epoca era il miglior centrocampista di quella squadra (ora è al Modena). Una buona annata, il 1988, dato che quella è stata una delle migliori formazioni giovanili della storia recente del Piacenza, capace di battere la Juventus di Sebastian Giovinco (che lì faceva la differenza) in campionato e di andare avanti nel torneo di Viareggio prima di essere eliminata dalla Roma di Stefano Chuka Okaka.
Per vedere Radja stabilmente in prima squadra – dopo il debutto in serie B nella stagione 2005-2006 con Beppe Iachini in panchina – occorre aspettare Mario Somma, il teorico del 4-2-3-1, quello che spiegava i movimenti ai giocatori col Subbuteo sul pavimento dello spogliatoio. Somma aveva già consacrato Marek Hamsik a Brescia. Era la stagione 2007-2008 e in quel periodo Radja giocava da trequartista. A quel punto i giornali locali, Libertà e Cronaca, iniziarono a raccontare la storia di Radja, nato ad Anversa da madre belga e padre indonesiano, da cui derivano i suoi caratteristici tratti somatici, quegli occhi a mandorla che hanno spinto i tifosi della Roma ha ribattezzarlo subito il Ninja (i vecchi tifosi del Piace, quelli che ogni giorno si ritrovano davanti alle biglietterie, furono molto meno fantasiosi: “Gioca il cinese?”).
Alla vigilia di una partita di serie B, vista l’indisponibilità di tutti gli attaccanti della rosa, Somma arrivò in sala stampa e annunciò un esperimento mai provato prima in partita: “Domani giochiamo con Radja alla Totti”. Vale a dire con Radja punta centrale, falso nove, come viene chiamato oggi un centravanti che centravanti non è, un po’ come accadeva nel Barcellona di Pep Guardiola e nella nazionale spagnola con Cesc Fàbregas. In quel periodo la Roma allenata da Luciano Spalletti (l’uomo che con Somma si contendeva l’invenzione del 4-2-3-1, “lui lo fa coi trequartisti più vicini fra loro, io con gli esterni larghi” diceva Somma), che in quella posizione schierava Totti con Perrotta dietro. L’esperimento non andò benissimo, Somma abbandonò quasi subito l’idea di Nainggolan centravanti e intraprese una nuova strada, quella che di fatto ha cambiato la carriera di Radja: centrocampista. Somma iniziò a schierarlo da regista, in mezzo nel centrocampo a tre, e questa volta l’esperimento funzionò. “Radja ha due possibilità: può finire in Eccellenza come al Real Madrid, dipende da lui” disse Somma dopo una prestazione non particolarmente brillante di Nainggollan. La consacrazione del tecnico arrivò a Messina, quando, al termine di una partita persa dal Piacenza, Somma si presentò davanti ai giornalisti ed esordì così: “Oggi Messina mi deve dire grazie perché ha potuto ammirare un giocatore che diventerà un campione: Radja Nainggolan”. Da quel momento in poi Radja non si spostò più dal centrocampo. “Quando l’ho avuto io, Nainggolan era giovanissimo, giocava trequartista, mi chiese la società del Piacenza di valorizzare Radja – ha spiegato un paio di giorni fa Somma a corrieregiallorosso.it – ma capii che a livello di prima squadra quel ruolo non fosse efficace per le sue caratteristiche, gli dissi che tutto dipendeva da lui, gli chiesi di cambiare ruolo, perché non aveva lo spunto per fare il fantasista, mentre da centrocampista era completo. I risultati mi hanno dato ragione”. Stefano Pioli, che prese il posto di Somma, completò l’opera, facendo di Nainggolan un titolare fisso, da centrocampista centrale o da mezzala, e Radja trovò quella continuità di rendimento fondamentale per fare il salto di categoria. Lo fece nel gennaio del 2010, quando lo prese il Cagliari, in serie A, inserendo nella trattativa Mikhail Sivakov, centrocampista bielorusso oggi al Bate Borisov. Quattro anni dopo – col nome di Nainggolan che fu più volte accostato alla Juve – pareva che Radja potesse andare all’Inter, più per una questione di origini (indonesiane, come il nuovo presidente Erik Thoir) che per una trattativa vera e propria. E infatti, a gennaio di quest’anno, Radja è passato alla Roma.
Nella scorsa partita di Coppa Italia il mister giallorosso, Rudi Garcia, l’ha schierato dal primo minuto al posto di uno dei centrocampisti più forti del mondo, Miralem Pjanic. A prima vista Radja colpisce per le braccia tatuate (“il suo look è stato giudicato tamarro anche da Fabrizio Corona” ha scritto Calciatori Brutti, una delle pagine dedicate al calcio più seguite sui social netwkork) e per quel modo di correre saltellando. Poi tocca la palla e capisci perché martedì Garcia l’ha messo titolare in una gara secca a una settimana dal suo arrivo in squadra. A centrocampo Radja può giocare ovunque e sa fare tutto: passa, lancia, tira, corre, pressa, lotta, detta i tempi, si sbatte, fa falli. Soprattutto possiede quella componente fondamentale per diventare un giocatore d’alto livello: la personalità. Con la Juve campione d’Italia, per la prima volta titolare davanti a 60mila persone, mentre Giovinco si lamentava perché quel cattivone di Benatia gli faceva tanta bua, Radja chiamava palla a Totti e la smistava, poi sradicava il pallone dai piedi di Vidal e ripartiva. La Roma l’ha pagato 18 milioni. Tanti. Ma se consideriamo che l’Inter ne ha sborsati 10 per Alvaro Pereira, così come la Juve per Peluso, allora Radja è il Dio del calcio un affare che un domani può fruttare plusvalenze interessanti. Nel frattempo, nella sala stampa del Garilli, c’è ancora una sua fotografia appesa alla parete. Radja è uguale. Ha le braccia tatuate, la faccia da ninja e la palla attaccata al piede.

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