APPRENDISTA NERISTA

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TESTO: EMANUELA GATTI: FOTO: ARCHIVIO GATTI

“Alle 10,30 vai in caserma, becchi gli altri, li segui e fai quello che fanno loro. Poi scrivi e mandi”. Lo feci. Furto di scarpe da Pittarello. Non male, pensai. Il mio primo giro di nera. Era il 2010. Purtroppo, a differenza di Ermanno Mariani, non posso dire “era il 1985 e faceva freddo, di quel freddo che ti penetra nelle ossa”. Era settembre e io nel 1985 nascevo.
Dopo il primo giro di nera, arrivò il primo incidente mortale, sempre per ilPiacenza.it. In tangenziale alle 7 di mattina. Il freddo c’era, l’adrenalina pure. In 30 minuti vidi il mio primo cadavere e presi la mia prima dose di insulti perché avevo fotografato qualcosa che non dovevo fotografare. “Tranquilla, si chiamano medaglie al valore queste” mi dissero i colleghi più esperti. Dopo l’incidente arrivarono le rapine, i bancomat sventrati con l’acetilene, altri incidenti, e il primo omicidio. Il 20 marzo del 2011 a Castelvetro. Un’anziana donna fu picchiata, uccisa, buttata dal balcone e gettata in una discarica dal suo vicino di casa. Di quel giorno ricordo distintamente la fantasia del maglione che indossava la figlia della vittima, le sue mani sul volto mentre veniva portata via sorretta da un amico dopo il riconoscimento del cadavere, il caldo, la batteria del Mac che a ogni quarto d’ora diminuiva inesorabilmente, l’assenza di un bagno e la fame. Fame placata parecchie ore dopo con una pizza in un cartone appoggiato al tettuccio di una Mercedes Slk grigia parcheggiata davanti alla caserma dei carabinieri di Monticelli, in attesa dell’uscita dell’omicida reoconfesso.
Dopo l’omicidio vennero altri omicidi, poi furti, incendi, accoltellamenti. Tutti di notte, quasi tutti col freddo. Ben presto capii che anche se ero una donna dovevo dotarmi di un abbigliamento consono al fango e alla pioggia. Gli anfibi gialli della Caterpillar che usavo alle medie e mi avevano tenuto alla larga dai ragazzi andavano benissimo. Mica potevo sempre farmi lavare le scarpe piene di fango dai vigili del fuoco ad ncendio spento, come quando saltarono in aria alcune bombole d’ossigeno in una cascina sopra Pontedellolio.
Poi mi serviva una macchina fotografica. Se prima fotografavo solo il mare in vacanza o gli amici in discoteca, ora dovevo imparare a immortalare altro. Allora cominciai a copiare le inquadrature di chi faceva questo mestiere da anni. Direi che ora proprio male non me la cavo, almeno quando riesco a impostare la reflex nel modo giusto. “Devi sempre guardare quello che fanno gli altri colleghi, li segui, li osservi e agisci.  Stai nel tuo. Poi pian piano ti affranchi” mi dicevano. E io obbedivo. “Sii una spugna, assorbi tutto quello che puoi”. Io cercavo di assorbire. Anche le manie, le frasi fatte, gli orari strani, e l’alimentazione di chi batte la strada. Le conseguenze si videro ben presto con i jeans che non mi si allacciavano più. Amen. Per un buco questo e altro. Buco della cintura, ovviamente. Così, tra un giro in questura e un incidente, ho cominciato a conoscere qualcuno anch’io. Piccole soddisfazioni. Nonostante tutto e nonostante conoscessi tutti i vari gradi dell’Arma e l’organigramma della questura, ero l’ultima arrivata, perciò il low profile era d’obbligo.
Sicchè (sicchè?) quando lavori in un quotidiano online devi cercare di saper fare un po’ di tutto, ma se ti attira la nera, se ti piacciono le divise, il sangue non ti fa impressione e non ti dà fastidio l’odore di bruciato sui vestiti, non c’è consiglio comunale o inaugurazione di un ponte che tenga.  E ne vuoi sempre di più di chiamate alle 3 di notte. C’era ancora la Cronaca e casa mia pian piano è diventata un santuario delle prime pagine più belle che uscivano nel quotidiano di via Chiapponi. E mi dicevo: “Anch’io, anch’io, anch’io”. Le mie amiche, ancora oggi, non capiscono. Forse pensano che sia morbosa, forse credono che abbia visto troppe puntata di Csi, ma tra un drink al Mirò e una rapina non ho dubbi.
Dopo gli incidenti, gli omicidi, i furti, gli incendi, le feste delle Badanti a Prato Barbieri, diverse campagne elettorali, feste del Pd e partite di calcio, venne anche l’estate caldissima della logistica. Un tripudio di divise, di anfibi, di caldo, di sigarette, di retorica e di disperazione. Sd della macchina fotografica piene, ore di attesa riempite da panini con la salsiccia di Michele e da frasi ripetute come mantra per la stanchezza: “Arriva o no il reparto da Milano?”, “Secondo voi sgomberano?”.  Quanto mi piaceva Strada dei Dossarelli e canticchiare gli slogan che i lavoratori ripetevano fino allo stremo, “Busta paga falso! Busta paga falso!”. Io e qualche mio collega avevamo seriamente pensato di remixarli per creare una sorta di compilation. Il caldo nella zona industriale di Piacenza fa veramente brutti scherzi.
Sono passati 4 anni e una prima pagina è arrivata. Il 2 novembre del 2013, dopo giorni di attesa, di notti insonni, di litri di caffè e di cortei di protesta in centro, ci furono degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine davanti al magazzino centrale dell’Ikea a Le Mose. Il Manifesto, il giorno dopo, aprì il giornale con un servizio di quanto successo a Piacenza pubblicando in prima pagina una mia fotografia. Adesso è incorniciata accanto alle prime pagine della Cronaca e mi serve da monito. Per ora è la prima e l’ultima. E, bandi comunali permettendo, spero che ce ne siano altre, consapevole sempre che “buco che dai, buco che prendi”. E stavolta non parlo dei buchi della cintura.

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3 Comments on "APPRENDISTA NERISTA"

  1. Foto archivio Gatti una bella cippa. La foto è MIA. Chi è che si metterebbe a fotografarle il culo mentre si infila tra gli sbirri?

  2. Brava Manu…. <3

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