IL NOSTALGICO LEGHISTA

Per un paio di giorni ci dedicheremo ai nostalgici di una politica che non c’è più. Iniziamo oggi con i vecchi ricordi di Pontida, quando la Lega era ancora la Lega. 

TESTO: MANUEL FANTONI FOTO: IDEM

Dopo questa lunga quarantena trascorsa tra solitudine, noia e videochiamate, oggi mi alzo dal letto. Ancora assonnato guardo le news pubblicate in rete, e vedo che il dl Rilancio non è ancora stato pubblicato in Gazzetta ufficiale. Una breve lettura tra caffè e biscotti e mi rendo conto che per leggere tutta la procedura ci vorrebbe un’altra quarantena, e per capire il decretone del governo mi dovrebbe crescere la barba come il mago Gandalf.

Da buon vecchio leghista mi indigno per la mancanza di attenzioni al Nord, allora decido di incazzarmi, quasi a forza, e per riuscirci me la prendo col meteo che dice che piove, pioverà o forse pioveremmo. Mi alzo di scatto dalla seggiola e decido di dimenticare in partenza questa giornata che si prefissa disastrosa dal punto di vista umorale.

Allora, per rilassare la mente, penso sia giusto dedicarsi alle faccende di casa. Prendo d’assalto l’ultima stanza che ancora è in disordine, vale a dire lo studiolo, detto anche pensatoio padano. Sono anni che non varco quella soglia, da quando il Senatur mollò la guida del partito. Sospiro forte, afferro la maniglia della porta e quasi con timore apro, chiedendo quasi permesso.

Nella penombra scorgo colori annebbiati dalla polvere di una decade, accendo la luce e tutto si materializza: ritorno al passato in un battito di ciglia. La luce illumina il tutto e il tutto sembra prendere vita. Davanti alla scrivania autarchica si erge il poster elettorale del Senatur con corredo di vecchie bandiere di partito. I ricordi affiorano e inizio a pensare quando, sedicenne, aspettai per un pomeriggio l’arrivo di Umberto Bossi a Piacenza. Mi volto e vedo una pila di fotografie. Inizio a farle scorrere e vedo facce vecchie e giovani ormai invecchiate pure loro. Immagino i gazebo elettorali quando l’obiettivo di voto era il superare il 6%, foto di personaggi politici nazionali in visita a Piacenza, cene coi leader di partito.

In fondo al mucchio trovo una foto di Pontida e del ritrovo nazionale a Venezia. Guardo in alto, fisso il soffitto e immagino di essere presente all’assalto dei serenissimi di Venezia l’8 marzo del 1997, mi sembra di sentire una voce urlante quasi assordante, mi volto e sul muro vedo una foto con autografo e dedica: è lui, super Mario Borghezio.

D’improvviso sento un forte aroma, non capisco, annuso meglio e sì, è proprio quell’odore che si respirava nel periodo di novembre, quando il freddo era solo del Nord: è odor di polenta, ma non una comune polenta, l’unica e vera polenta padana da gazebo, quella che si preparava in strada come rituale di partito. Momenti in cui i leghisti scendevano dalle colline piacentine per far sentire la presenza della montagna nel centro città.

Per finire, a fianco del muro, vedo un rotolo di carta, lo apro e come per incanto ecco manifesti di partito. «Prima il Nord»: lo slogan, anzi, il comandamento del vecchio legista. Il sole entra tra le tende dello studiolo, va a lembire un vecchio foulard verde, lo raccolgo, lo annuso e penso a oggi, a quella Lega che non c’è più, ma che nei cuori è sempre presente. Vedo un giornale. C’è un articolo. Chi è costui? È il barbuto e giovane Matteo Salvini. Mi commuovo per il passato, annuso ancora il foulard e canticchiando il Va’ Pensiero decido di uscire dallo studiolo lasciando immobile anche la polvere. Pensando che se ora vedo un terùn mi si apre il cuore.

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