C’ERA UN TOMMASO IN CINA

Il piacentino che studia lingue orientali senza secondi fini: “Le poche ragazze carine che ho visto in Cina scendevano dall’autobus e sputavano per terra”. Di cognome fa Cattivelli e porta sulle spalle un’eredità pesante. Un indizio? In cinese alcol si dice “jiu”. Ecco la terza puntata di “China Town”, la nostra piccola inchiesta sui cinesi a Piacenza.

TESTO: FILIPPO MERLI

Tommaso studia cinese per provarci con le cinesi. “No, diciamo che non è quello il mio scopo primario”. Allora perché? Per interpretare i tatuaggi sulle braccia dei tamarri? “Neanche. Studio cinese perché sono affascinato dalla cultura orientale”. Tommaso Cattivelli ha ventidue anni, è alto quasi due metri e in Cina era il più fico di tutti. “Sono stato un mese a Suzhou, a un centinaio di chilometri da Shangai, per uno stage alla Zamperla, un’azienda che produce giostre per parchi divertimenti. Appena sono sceso dall’aereo sono diventato un idolo. I ragazzini mi chiedevano di fare una foto con loro, le ragazze mi stavano attorno, e tutto perché ero molto più alto della media. Mi chiamavano “naso da cavallo” – i cinesi hanno tutti il naso schiacciato e il mio sembrava sproporzionato – ed ero un occidentale, una specie di extraterrestre. E’ stato divertente”. Tommaso frequente il corso di laurea in lingue orientali all’università Carlo Bo di Urbino. Ha iniziato a interessarsi di cose cinesi durante l’ultimo anno di liceo, e qualche mese fa è stato per la prima volta in Cina. “In azienda non ho imparato granché, mi facevano scrivere in cinese e in inglese, che tra l’altro non parla quasi nessuno. La vera esperienza l’ho fatta fuori, in strada, tra cessi pubblici con un forte odore di ammoniaca e strane cose da mangiare. All’inizio, quando sono partito, pensavo di atterrare in un altro mondo, poi ho scoperto che anche i cinesi sono essere umani con una scarsa cultura della pulizia”.

IL FAZZOLETTO FA SCHIFO

La storia della pulizia è interessante. Racconta. “Alloggiavo in un ostello della gioventù – dice Tommaso alla Batusa – e mi facevo la doccia un paio di volte al giorno. Ecco, per i cinesi, se ti lavi più volte al giorno, è perché sei sporco. Lo stesso vale per il fazzoletto: non lo usa nessuno, dicono che girare con una cosa simile in tasca fa schifo”. Tommaso ha iniziato a leggere, parlare e scrivere in cinese. “E’ una lingua molto complessa, soprattutto quando arriva il momento di scrivere qualcosa. Ogni carattere, o logogramma, ha un suo significato, e non è facile interpretarlo. I cinesi dicono “io essere, tu essere, egli essere”, e coniugare le varie forme verbali è un casino”. Tommaso è figlio di Franco Cattivelli, storico barista di Aiglon, uno dei pochi locali a Piacenza dove si può ancora bere seriamente al bancone senza pischelli con la cresta e musica di David Guetta. Alcol, in cinese, si dice “jiu”. Se capitate dalle parti di Shangai e volete farvi un bicchiere quella è la parola giusta. “In Cina – prosegue Tommaso – ho assaggiato vari tipi di vini e grappe. Le grappe hanno tutte lo stesso sapore”. Il figlio di Franco – eredità pesante – è pronto a ripartire. “Vorrei andare sei mesi a Pechino, dove ci sono università di lingua per stranieri in cui passi la mattinata sui libri e il pomeriggio in giro per la città”. A provarci con le cinesi. “Ancora con questa storia? No, non sono il mio tipo. Le cinesi sono un po’ modello tavola da surf. Piatte. Non mi esaltano. E poi le poche ragazze carine che ho visto in Cina scendevano dall’autobus e sputavano per terra”.

Qui trovate la prima e la seconda puntata

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1 Comment on "C’ERA UN TOMMASO IN CINA"

  1. dariofandellaprimaorade"labatusa" | Ottobre 24, 2012 at 4:14 pm | Rispondi

    Fotografia del prossimo futuro.

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