Il giornalista piacentino Gianfranco Salvatori è stato fermato da un gruppo di persone (probabilmente appartenenti al partito di Hezbollah) in Libano: gli hanno sequestrato la macchina fotografica, i documenti e il cellulare. Poi, dopo un’ora, è rientrato alla base dell’Onu. Cose che possono succedere agli inviati in zona di guerra.
FOTO: ARCHIVIO SALVATORI
La leggenda narra che prima di chiamare i familiari Gianfranco Salvatori abbia telefonato in redazione per dettare il pezzo. Cose che succedono quando un inviato in Libano passa una brutta ora e – una volta rientrato alla base – non vede l’ora di raccontare l’accaduto. Ieri sera ilPiacenza.it, il sito con cui collabora Salvatori, giornalista embedded ed ex caposervizio della Cronaca, ha dato la notizia del “rapimento lampo” del proprio collaboratore (vedere per leggere), che si trova in Libano insieme ai soldati italiani per una missione dell’Onu. Secondo le ricostruzioni, due mezzi con sette soldati e quattro giornalisti – tra cui il piacentino – sono stati fermati in un villaggio vicino a Shama, in una zona di prevalenza Hezbollah (un importante partito politico libanese). Pare che una ventina di persone abbiano chiuso la strada con le auto al momento del passaggio dei veicoli con a bordo militari e cronisti e che qualcuno abbia addirittura minacciato di morte i soldati. Poi – sempre secondo la ricostruzione del Piacenza.it – ai giornalisti sono state sequestrate le macchine fotografiche, i documenti e i telefoni cellulari, mentre ai militari sono state rubate le radio e smontati i veicoli per timore che nascondessero apparati di spionaggio. Alla fine, dopo un’ora, il gruppo ha lasciato andare i due mezzi restituendo il materiale ai cronisti, che sono tornati nella base della missione Onu. Insomma, non proprio un controllo di routine, ma comunque niente di preoccupante. Cose che possono capitare agli inviati in zone di guerra. E’ possibile che Hezbollah, che sta dalla parte del presidente della Siria, Bashar Al Assad, abbia pensato che i militari stessero facendo qualche operazione in vista di un intervento in Siria, in cui si combatte da un anno. “Questo episodio – ha detto il responsabile del settore Ovest della missione Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon), il generale Antonio Bettelli – offende il popolo libanese, oltre che i soldati e i giornalisti che sono qui per Unifil. E’ un fatto brutto e inaccettabile. In ciò che accade qui c’è sempre una logica e noi stiamo cercando di capirla e di far capire che la presenza dell’Onu è un’occasione di crescita sociale ed economica per i libanesi”.
Toccategli tutto, ma non la macchina fotografica. La cosa che deve aver dato più fastidio a Salvatori dev’essere stato consegnare il prezioso oggetto a mani sconosciute. La Batusa aveva intervistato il giornalista piacentino poco prima della partenza per il Libano (vedere per leggere). “Questa missione – aveva detto – prosegue dal 2006. Io andrò in Libano con i Pontieri piacentini, che per la prima volta avranno il compito di sminare i terreni”. L’inviato, prima dell’inconveniente di ieri, aveva iniziato a spedire reportage dettagliati e approfonditi al Piacenza.it. Salvatori conosceva già il Libano e i libanesi: era stato da quelle parti nel 2006, come raccontò in un’altra intervista alla Batusa. ” “I libanesi – disse – sono molto simili a noi. Una faccia una razza, ti dicono quando scoprono che sei italiano”. Oltre al Libano, il cronista piacentino è stato in Kosovo e in Afghanistan. “Pensi che qualcosa potrebbe andare storto solo per un attimo. Poi cominci a scattare fotografie. ll rischio c’è, ovvio. Ma l’adrenalina è superiore alla paura. Quando sei a bordo di un Lince o di un elicottero vieni preso dal paesaggio e dal lavoro dei militari. In fondo sei lì per scrivere. E allora scrivi”. Quello che Salvatori, nonostante l’inconveniente di ieri, continuerà a fare per giornali e siti internet.
scrivania@labatusa.it
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