Gli operai di Atlantis sono tornati coi piedi per terra. Hanno sofferto e hanno lottato per i loro diritti, ma alla fine hanno raggiunto l’accordo. Pare che l’unico modo per farsi ascoltare sia salire su un tetto. Solo una cosa: come fa uno che vuole protestare contro un’azienda che ha sede al piano terra?
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Gli operai di Atlantis sono tornati coi piedi per terra. Dopo settanta ore trascorse sul tetto dello stabilimento, al freddo e senza cibo, non vedevano l’ora di riabbracciare i familiari. Invece le prime persone che hanno visto sono stati i giornalisti. “Siamo emozionati ed esausti – ha detto a Libertà uno degli operai, Maurizio Piazza – ma eravamo pronti a resistere ancora per difendere i nostri diritti. Ce la caveremo con un po’ di raffreddore ma posso dire che stiamo bene”. Dopo dodici ore di riunione, alle 4 del mattino l’assessore provinciale Andrea Paparo – che non faceva così tardi da quando aveva vent’anni, solo che allora era da Bosoni a mangiare focaccia e a parlare di calcio – ha dichiarato di aver raggiunto un preaccordo sia sugli incentivi all’esodo sia sugli ammortizzatori sociali previsti per i 180 lavoratori di Atlantis, il cantiere di Gropparello che rischia di chiudere i cancelli. I sei operai erano saliti sul tetto proprio per questo: volevano che i loro diritti e quelli degli altri lavoratori fossero rispettati. Ce l’hanno fatta. Tutto è bene quel che finisce giù dal tetto. A questo punto pare che l’unico modo per farsi ascoltare sia salire su un tetto. Solo una cosa: come fa uno che vuole protestare contro un’azienda che ha sede al piano terra?
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