Nella vita c’è chi aspetta il grande amore, chi aspetta il colpo di fortuna e chi aspetta il rosso a un semaforo per pubblicizzare la Fiera dell’Elettronica a Piacenza Expo. Piccola storia dell’uomo sandwich, il pubblicitario ambulante che deve il suo nome a Charles Dickens e che stava sulle palle a James Joyce.
TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: IDEM
L’uomo sandwich aspetta il rosso. Quando il semaforo scatta e le macchine si fermano arriva il suo momento. Allora sistema la cordicella del cartellone attorno al collo come fanno certi manager in carriera col nodo della cravatta, poi s’infila tra le automobili facendo attenzione agli specchietti. S’abbassa sui finestrini e mostra ai conducenti un piccolo volantino promozionale della Fiera dell’Elettronica a Piacenza Expo. Qualcuno ha l’accortezza di dire “no grazie”, altri fanno segno di no con la testa, altri ancora lo ignorano e fissano il semaforo per togliersi da una situazione che pare imbarazzante, quasi fastidiosa. La vita dell’uomo sandwich dura poco più di un minuto, giusto il tempo che passa fra il rosso e il verde. L’arancione è il segnale per togliersi di mezzo: l’uomo sandwich sa che la gente va di fretta e inizia a strombazzare se si trova un indiano tra due cartelloni sul suo cammino. Abbiamo osservato questo strano soggetto per un po’ al semaforo tra via Manfredi e viale Dante. La cosa curiosa è che per un’intera giornata l’uomo sandwich non esce mai dal suo travestimento. E’ un tutt’uno col cartellone, anche quando mangia un panino in pausa pranzo e quando beve acqua calda da una bottiglia da un litro e mezzo senza etichetta – il pranzo dell’uomo sandwich è dentro a una borsina di plastica appoggiata a un albero. Non se lo toglie mai di dosso, quel cartellone colorato, perché quello è il suo lavoro e perché alla fine è tutta pubblicità. Anche se va al bar a bere un caffè e occupa metà bancone – e la gente lo guarda male.
PRATICAMENTE UNO SFIGATO
La figura del pubblicitario ambulante nasce in America, ma l’uomo sandwich deve il suo nome a Charles Dickens, che lo definì “un pezzo di carne umana tra due pezzi di cartelloni incollati”. A un altro grande scrittore come James Joyce l’uomo sandwich stava sulle palle. In un capito dell’Ulisse, il protagonista, Leopold Bloom, si ferma a osservare cinque uomini sandwich ognuno con un tableau – un modo elegante per definire il cartellone – e un cilindro bianco con una lettera del nome della ditta di cancelleria che pubblicizzano, la Helys. Bloom – che evidentemente non aveva niente da fare, proprio come noi della Batusa – si ferma a riflettere sull’inutilità di quella forma pubblicitaria e bolla l’uomo sandwich come l’ultimo gradino della scala sociale prima dell’abiezione. Per Bloom l’uomo sandwich è il risultato finale di una “moltiplicazione incrociata di rovesci di fortuna”, praticamente uno sfigato, e nella piramide sociale si trova appena prima del “pezzente pazzo”. Ci siamo guardati attorno, ma non abbiamo visto pezzenti pazzi al semaforo di via Manfredi. C’era solo l’uomo sandwich della Fiera dell’Elettronica, che ogni tanto sollevava il cartellone con le mani per allentare la pressione sulle spalle e s’appoggiava a un palo della luce in attesa di ricominciare il lavoro. Nella vita c’è aspetta il grande amore, chi aspetta il colpo di fortuna e chi più semplicemente aspetta il rosso.
Per la cronaca a Madrid, dove era iniziata questa pratica, soprattutto in merito a pubblicità legate ai compro-oro, è stata bandita dal 2008 perché “lesiva della dignità umana”.
Fonte:
http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/articoli/articolo429622.shtml