GIRO L’HA MESSA

La grazia non è il suo forte. Non gli serve. Matteo Girometta ci mette il fisico. Le spalle larghe, prima di tutto. Arriva il pallone e stacca di testa, glielo passano a terra e lui allarga le braccia, lo protegge, lo smista. E’ la dura vita del centravanti vecchia maniera, quello che bada alla sostanza e poco alla forma. Lo stile passa in secondo piano rispetto alla forza, il lavoro sporco prende il sopravvento sulla giocata. Botte, tante. Numeri neanche a parlarne. Anche quelli, per uno come lui, sono superflui. Giro è sempre in guerra: è morfologicamente predisposto per entrare e uscire dall’area di rigore con la consapevolezza che alle sue spalle ci sarà sempre un difensore poco gentile a controllarlo e a provocarlo. Quelli come lui ci sono abituati, quelli come lui fanno sempre comodo. Con Monaco è stato bloccato da un infortunio, ma c’era la sensazione che Giro, almeno all’inizio del campionato, avesse superato anche bomber Marrazzo nelle gerarchie del mister. Poi, con l’arrivo di De Paola, ha trovato il suo posto. In campo da titolare o a gara in corso, Giro c’è. Quando è arrivato, in estate, tutti hanno pensato al ritorno del ragazzo cresciuto calcisticamente a Piacenza e che a Piacenza, per forza di cose, prima o poi doveva tornare. Una di quelle storie già sentite che solitamente, nel calcio, non portano mai a nulla. Ma Piacenza è una piazza strana: negli ultimi tempi, chi è passato di qua e poi è tornato non solo è stato decisivo, ma lo è stato più della prima volta. Francesco Volpe, Francesco Lisi, Umberto Colicchio: tutti inamovibili, imprescindibili. Poi c’è Girometta. Coi capelli ricci e il petto in fuori. Uno così ti serve sempre, è nella retorica del calcio. Perché lo butti dentro quando stai perdendo per sfruttare i cross o i calci piazzati, oppure quando vinci, perché tiene la palla, conquista falli e fa salire e respirare la squadra. Il profilo di Giro corrisponde: è questo tipo di attaccante, quello che alla fine della partita ha sempre fatto il suo e se è andata bene ha pure segnato. Come ieri con la Correggese: respinta del portiere, stop, destro di potenza. Giro nel posto giusto al momento giusto, Giro che si toglie la maglia e va a esultare sotto il settore riservato ai tifosi del Piace, Giro che consegna i tre punti alla squadra di De Paola. Giro decisivo, soprattutto. Questa volta non per una sponda, non per una torre, non per una punizione conquistata e trasformata da un compagno. Per un gol. Per i giocatori come Girometta il gol non è tutto: loro hanno altro da fare. Quelli come lui dividono: chi dice che gli attaccanti devono buttarla dentro e stop e chi sostiene che debbano partecipare al gioco della squadra e che per questo non siano condannati a passare la prima parte della loro vita nell’area piccola. Tutti gli allenatori sono per la seconda tesi, e infatti quelli come Giro trovano sempre spazio. Se poi segnano la rete decisiva in una delle partite più importanti della stagione, be’, capite perché De Paola non può farne a meno.

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