LETTERE ALLA BATUSA

La classica espressione di un precario

Cara Batusa, il posto fisso è stato il mito di alcune generazioni: il posto statale, pubblico. Tre i pilastri su cui si fondava il sogno, e su cui tutt’oggi si regge: la busta a fine mese, l’impiego sicuro e garantito perché «tanto lo Stato non ti licenzia». E tutto questo al di là delle capacità, delle conoscenze e della voglia di lavorare.
Un assunto filosofico che viene dimostrato di nuovo in questo settembre 2015 con la vicenda di Giovanni Scattone, l’uomo condannato per l’omicidio colposo della studentessa Marta Russo nel 1997 all’università. Scontata la pena tornerà a insegnare. Un posto fisso da insegnante di Psicologia in un istituto professionale. E questo perché nella condanna nessuno lo aveva interdetto dall’insegnare in una scuola pubblica.
Il fatto non dovrebbe stupire. Gli esempi di galantuomini “statali” condannati per furti, truffe, corruzione, peculato, concussione non mancano. Ma moltissimi di loro sono ancora al loro posto. O perlomeno non hanno perso l’impiego pubblico.
Un esempio per tutti, anche se ciò è valido per ogni Comune d’Italia. A Reggio Calabria, nel 2013, vennero arrestati 17 dipendenti comunali e altri 78 denunciati per truffa, a causa del loro assenteismo. Vennero interdetti dai loro uffici.
Vorremmo sapere se questi signori hanno perso il posto di lavoro, come ogni cittadino perbene auspica, oppure hanno ancora uno stipendio pagato grazie alle nostre tasse.
Giuseppe

Caro Giuseppe, ti va di diventare il nostro corrispondente da Reggio Calabria?

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