IL MURO DI TRUMP PER PROTEGGERCI DA PARMA

TESTO: NICOLÒ PREMOLI

Ci sono quelle cose che a Piacenza ti insegnano fin dalla tenera età. Se vuoi dimagrire, non fermarti da Vittorio. Se alle due di mattina sei disperso e lo stomaco mormora di fame chimica, fermati da Michele, che un panino con la salamella salta sempre fuori e si fa sempre in tempo a tagliarlo nel mezzo.
Ti raccontano che i tortelli con la coda sono di Piacenza, per quelli dolci invece devi dirottare su Crema. Che gli spiedini buoni sono quelli di Savi e che la mostarda non esiste: è soltanto una leggenda che arriva dalle sponde del Po. Cultura culinaria granitica. O quasi. Perché c’è chi è ancora fermamente convinto che Parma e Piacenza siano sotto lo stesso Ducato quando si tratta di accendere il fornello e grattare il formaggio.
C’è chi se l’è presa anche con i pisarei e fasö, quel piatto che le nonne creavano con incredibili doppi passi delle dita spezzando le lunghe bisce tirate in precedenza. Che se ci provavi tu, nipote volenteroso ma troppo giovane per queste cose, ti uscivano delle sfere informi di pasta. E allora crescevi limitandoti a discutere se fossero migliori quelli del Gnasso, del Sugone a Rivergaro o della Regina.
Un’etichetta completamente anonima, con quel «Primi di Parma» che fa tanto male quanto l’immagine del cucchiaio che pesca fagioli albini e pisarei anemici. Dov’è il rosso della salsa di pomodoro? Dov’è finito il guanciale che fa capolino in fondo alla pentola dopo l’ultimo bis? Non c’è traccia di tutto questo. Non c’è logica in quella confezione che ha tanto senso quanto la richiesta al banco dell’Esselunga di «un etto di crudo di Piacenza, quello buono».
Ci aveva già provato Eataly a confondere quelle certezze culinarie, ma questo è veramente troppo. Altro che fusioni e taglio dei confini: davanti a questi scempi markettari serve una risposta decisa e concreta. Serve un muro tipo quello di Donald Trump (già issato nel 1994 da Bill Clinton, precisiamo), non al confine col Messico, ma con la provincia di Parma, da erigere con coppe, pancetta e salami piacentini Dop. Da fare pagare ai cugini, naturalmente. Che provino pure ad abbatterlo a colpi di torta fritta e pesto di cavallo: reggeremo l’urto e contrattaccheremo con una bordata di pisarei. Quelli veri, quelli che stanno bene soltanto coi fasö.

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