CAVOLI DI BRUXELLES

di Laura Marenghi

Non è una novità. Quando si tratta di promuovere il nostro territorio e le sue eccellenze, noi piacentini dobbiamo ancora aggiustare il tiro. Per il momento, restiamo pazientemente in coda, lasciando che le altre città emiliane, pur sicuramente meritevoli, si prendano la fetta più grossa della torta. Nella vita quotidiana, il tutto si svolge più o meno così:

«Ciao, di dove sei?».
«Piacenza».
«Vicenza?».

E ancora:

«Piacenza? Penso di esserci passato mentre andavo a visitare i castelli del ducato di Parma».
«Ah, Piacenza…. Quindi sei lombarda».

La più dura da digerire:

«Piacenza, quella vicino a Parma?».

Ormai ci casco anche da sola, soprattutto quando interagisco con stranieri; dopo una serie di«What?», «Where?», rispondo con un risolutivo «Close to Parma», morendo dentro.

Per quanto ci dia fastidio, non possiamo negare che l’infarinatura di magotto che è in noi (minima!) ci ha in parte distratto dalla valorizzazione delle nostre deliziose tradizioni. Infatti, se da un lato i lombardi vengono ritratti dal Ranzani e Ivo Perego, dall’altro gli emiliani sono storicamente associati alla buona tavola. E noi in mezzo, muti.
Senza cedere definitivamente al campanilismo più becero, facciamo parlare i numeri. Parma è sul punto di lanciare il primo prosciutto nello spazio, dopo aver recapitato in tutto il mondo i restanti 8.399.999 prodotti solo nel 2015. Fatta salva l’indubbia qualità di questo prodotto, uno dei miei preferiti, il suo successo planetario è sicuramente dovuto anche alla capacità di chi lo tutela e promuove. Coppa, salame e pancetta sono conosciuti e apprezzati in Italia più che all’estero, per ora. Pur facendo continui passi avanti (produzione in crescita costante), i nostri salumi soffrono ormai da troppi anni di un complesso di inferiorità, soprattutto sull’export… E non ne possono veramente più!
Non basta. I nostri concorrenti, oltre a surclassarci, iniziano anche ad allungare le mani per accaparrarsi la paternità di qualsivoglia eccellenza piacentina. Sorvoliamo su Verdi, ok, lasciamoglielo. Ma, se come me non avete digerito la notizia dei Pisarei pronti di Parma, che di fasö così anemici non se ne vedono nemmeno all’Autogrill Nure Sud, vi comunico che abbiamo contro anche la BBC. Sì, la TV britannica. Faccio zapping, giro su BBC2 e mi sembra di riconoscere una torre a me cara nella sigla del programma “Italy Unpacked”, incentrato sul patrimonio enogastronomico e artistico italiano: è il castello di Rivalta. Molto bello, sì. Purtroppo, nell’episodio “The Art of the Feast”, dedicato all’Emilia Romagna, i due conduttori visitano brevemente il Castello. E per l’occasione che cosa cucinano? Un’ottima rosa di Parma. Nessuno s’è sognato di nominare Piacenza o una picula ‘d cavall’ manco per sbaglio. Per un attimo, mi sono sentita come in Gomorra: «Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost».
Considerato che siamo l’unica città d’Italia a vantare, tra l’altro, 3 salumi D.O.P., direi di scrollarci di dosso quest’aria da ultimi della classe e cambiare spirito… E sino a quando il muro trumpiano che ci separerà da Parma non verrà finalizzato, faccio appello al consorzio di via Colombo: Make Piacenza Great Again.

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