LIBERTÀ DI STAMPA DIETRO LE SBARRE

I detenuti raccontano le loro storie sulle pagine di “Sosta Forzata”, il giornale delle Novate. Sandro ha cominciato rubando orologi ed è finito in isolamento. Kalid è tornato dentro quando aveva chiuso con la droga e aveva trovato la fidanzata. Ecco l’ultima puntata di “Processo Breve”, la nostra piccola inchiesta sulla galera a Piacenza.

TESTO: FILIPPO MERLI

Sandro ha un locale elegante nella piazza dello spaccio di Scampia. Vorrebbe aprire un ristorante, ma deve ancora scontare qualche anno di galera. Ha cominciato da ragazzino, rubava orologi ed è finito nel carcere minorile di Secondigliano. “Lì ci picchiavano. Stavo male”. E’ uscito, ha preso un treno per Torino, ma è arrivata la chiamata dell’Esercito. Sandro è scappato, ma i carabinieri l’hanno preso ed è tornato dentro. E’ uscito di nuovo, ma ha iniziato a bere e a pippare cocaina. “Mi ha rovinato il lavoro. Mio fratello mi trovò un posto in un ristorante e cominciai con l’alcol e con la coca”. Sandro è arrivato nel carcere di Piacenza con una spalla rotta e sei mesi di isolamento davanti. “Sei mesi da solo, senza parlare con nessuno. E’ stata dura”. Sandro, 37 anni, è originario di Scampia, ha tre figli e ha imparato a cucinare al gabbio. “Ora vorrei solo aprire un ristorante nel mio locale”. La sua è una delle tante storie che i carcerati delle Novate raccontano sulle pagine di “Sosta Forzata”, il giornale della casa circondariale di Piacenza. “Sosta Forzata” è un giornale colorato. E’ nato nel dicembre del 2003 come allegato del Nuovo Giornale e nel 2006 è diventato testata autonoma, anche se viene ancora distribuito gratuitamente col settimane della diocesi tre-quattro volte all’anno. Ha una fogliazione di otto pagine ed è diretto da Carla Chiappini, una giornalista che scrive di galera senza retorica. “I carcerati – dice alla Batusa – scrivono in cella e mi consegnano i loro testi. Siamo una vera e propria redazione, discutiamo e cerchiamo temi da trattare. Per quanto riguarda il mio compito, cerco di tenere un certo distacco critico e di non bermi tutto quello mi viene presentato. Le notizie, come in qualunque giornale, devono essere certe e verificate”.

BRACCIA TAGLIATE E PILE INGOIATE

Carla scrive cose come “ricordo bene la prima volta che sentii parlare di lamette che tagliano le braccia, di pile ingoiate e di detersivi trangugiati, e ricordo anche il mio silenzioso stupore per l’evidente fastidio della persona che me ne stava parlando”. Sotto la foto di un carcerato con le mani sporche di sangue e il volto pixelato, i detenuti raccontano le loro storie di autolesionismo. “Non è facile vivere qui dentro, dove  ci sono persone che si tagliano le braccia e si imbottiscono di medicine che ti tranquillizzano e ti fanno dormire, ma che con il passare del tempo fanno male”. “Dall’inizio dell’anno – scrive un altro carcerato –  i suicidi di detenuti sono stati 33, la maggior parte mai nemmeno menzionati dagli organi di stampa, mentre i telegiornali sono pieni di appelli contro il maltrattamento degli animali. In agosto, nella mia sezione, un detenuto ha tentato il suicidio due volte nel giro di una settimana impiccandosi in cella”.  Le foto di “Sosta Forzata” ritraggono braccia tatuate che stringono le sbarre e panoramiche del carcere, oltre a citazioni di Fabrizio De Andrè e una rubrica fissa di brevi notizie dal mondo della galera. La parte più interessante, però, resta quella delle storie.

SCARPE, BORSE, SPACCIO

Come quella di Kalid, giovane marocchino e vucumprà sulle spiagge attorno a Roma. Quando suo padre è tornato in Marocco e l’ha lasciato con un amico, Kalid ha imparato a sniffare cocaina e a spacciare. La prima volta si è preso una condanna di sette mesi. “Quando sono uscito ho ricominciato a spacciare, ma ho avuto paura e sono tornato in Marocco. Una volta rientrato in Italia ho cercato le uniche persone che conoscevo. Siccome non avevamo soldi per la droga, abbiamo pensato di fare un furto ed è arrivato il secondo arresto. Dopo un anno e mezzo sono stato scarcerato”. Kalid era al verde e non aveva appoggi. “Ho pensato che l’unica soluzione fosse ancora lo spaccio”. E’ finito dentro per la terza volta un paio d’anni dopo per un lite con suo fratello e alcuni paesani a cui – dice – non ha nemmeno preso parte. “Avevo iniziato a vendere scarpe e borse, avevo chiuso con la droga e avevo anche una fidanzata. Ma le cose belle non durano”. Kalid è stato condannato ad altri sette anni di reclusione. “Gli articoli che correggo e impagino – spiega ancora Carla Chiappini – lasciano il segno”. Adesso ci sarebbe la parte in cui lei dice che i detenuti hanno capito di aver commesso un errore e stanno saldando il loro conto con la giustizia, ma non vedono l’ora di ricominciare una nuova vita. “Lasciamo perdere. La retorica buonista applicata alla galera è insopportabile, anche perché uno che è stato in carcere se lo porta dentro per sempre. Qualcuno è stato davvero sfortunato, altri sapevano benissimo cosa rischiavano. Diciamo solo che scrivere e raccontare le proprie storie, per i detenuti, è uno sfogo importante”. Libertà di stampa dietro le sbarre.

Qui trovate la prima, la seconda e la terza puntata

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