MONTAÑO DETTO CIRO

Arrivava il Natale e lui spariva. Accadde anche a Piacenza: quando tornò dalla Colombia, Davide Reboli lo inseguì con un ostacolo sulla pista d’atletica del Garilli. Storia del fantasista che una volta fu rincorso sui tetti di Calì da un dirigente del Parma: si fermò davanti a una pistola. Ecco la quarta puntata di “Saludos Amigos”, la nostra piccola inchiesta sui latinos a Piacenza. 

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: INTERNET

Arrivava il Natale e Montaño spariva. Tornava a metà febbraio col sorriso sulle labbra e il borsone sulle spalle: scusate il ritardo. Johnnier Montaño ci sapeva fare. Era un potenziale campione o qualcosa di molto simile. Aveva il culo basso, dribblava chiunque e si divertiva con i tunnel.  Calì, Colombia, 14 gennaio 1983. Nasce uno che sa giocare a pallone.  Se ne accorge un vecchio dirigente del Vèlez Sarsfield, che lo acquista per pochi pesos dall’America de Calì, dove Montaño aveva debuttato a quindici anni. Il ragazzino ha piedi buoni, è già nel giro della nazionale e segna gol molto fichi, col tacco, di petto, di spalla. Quando lo prende il Parma, nel 1999, Montaño diventa il giocatore più giovane a esordire nel campionato italiano. Ha sedici anni e lo chiamano Ciro. “Insieme a Fabio Cannavaro – ha raccontato Enrico Fedele, uno degli scopritori di Montaño – convenimmo che il suo vero nome doveva essere Ciro, come nella famosa canzone Tammurriata nera”. La saudade non è solo roba per brasiliani, e Ciro, orfano fin da bambino, sente la mancanza della Colombia. Arriva il Natale. E Montaño sparisce.

INSEGUIMENTO  SUI TETTI DI CALÌ

Il Parma manda il direttore organizzativo Salvatore Scaglia a recuperarlo. “Arrigo Sacchi mi convocò: Salvatore, il ragazzo non torna più. Vai a riprenderlo” raccontò Scaglia alla Gazzetta dello Sport. Il dirigente parte per Calì con una missione precisa: riportare indietro Ciro. “Agganciammo Montaño in un’officina: stava facendo oscurare i vetri della macchina. Quando ci vide, ebbe un mezzo mancamento, poi spiegò che aveva problemi personali, che doveva sistemare diverse cose con la sorella, i tre fratelli e i numerosi nipoti. Tranquilli, disse, domani rientriamo in Italia”. Ma Ciro sparisce di nuovo. “Lo scovammo un paio di giorni più tardi, in un quartiere poco raccomandabile di Calì, nella casa di una ragazza, forse la fidanzata o forse no. Bussammo alla porta, lui riconobbe la mia voce, mi disse “tranquillo” e poi più niente. Scappò per i tetti e noi ci lanciammo all’inseguimento, ma a un certo punto tra canne fumarie e antenne tv spuntò un tizio con un pistolone. Ci fermammo e chiamammo la polizia”. Scaglia lo trovò a casa qualche giorno dopo. “Ciro disse: “Mi avete convinto, torno in Italia. Mi sacrifico per il futuro della mia famiglia. Ci vediamo in aeroporto”. Io lo bloccai: “Caro Ciro, tu sei furbo, ma noi non siamo scemi. Ci vediamo domani un corno. Ora ci segui nel nostro albergo”. Lo chiudemmo in camera, lo sorvegliammo a vista e la mattina seguente volammo in Italia”.

MULTA SALATA

Nel 2001 il Parma decide di mandarlo in prestito al Verona. “Buone notizie: il Verona, la squadra che non poteva ingaggiare giocatori di colore pena – come disse mesi fa il presidente Giambattista Pastorello – la rivolta di una parte dei tifosi, ha ingaggiato un giocatore di colore. Si tratta di Johnnier Montaño, 18 anni, colombiano, fantasista di talento” scriveva Repubblica il 2 agosto del 2001. Ciro gioca dieci partite. Poi arriva il Natale e sparisce. Torna il 19 gennaio e chiede scusa a tutti. Il Verona retrocede in serie B e Ciro rientra al Parma, che nella stagione 2002-2003 lo gira al Piacenza allenato da Andrea Agostinelli. Amichevole estiva al Garilli contro l’Atalanta. Montaño fa cose che a Piacenza non si vedevano da anni. Dribbla, passa, palleggia, scherza coi difensori e manda in porta i compagni. “Questo è buono” dicono i tifosi sugli spalti. Inizia il campionato e Montaño segna il suo primo gol in serie A contro il Brescia. Poi arriva il Natale. E Montaño sparisce. Il 30 dicembre i giocatori biancorossi si ritrovano al campo d’allenamento dopo la pausa invernale. I dirigenti si guardano attorno: “Dov’è Montaño?”. Passano dieci giorni. E’ il 9 gennaio e Ciro non dà notizie di sé dal 21 dicembre. Il suo procuratore, Nicola Pedraneschi, non sa più che fare: “Il telefono squilla a vuoto o è staccato”. La sorella di Montaño, Marina, raggiunta a Calì dall’Ansa, fa sapere che “Johnnier si sta sottoponendo a terapie per un problema muscolare”. I dirigenti del Piacenza, tra cui il diesse Fulvio Collovati, hanno pronta una multa salata e pensano seriamente di rispedirlo a Parma. “Siamo preoccupati, non vorremmo che gli fosse capitato qualcosa” dice l’ amministratore delegato Gianpiero Tansini. I tifosi ce l’hanno con Ciro. Il 12 gennaio, nell’occasione della partita Piacenza-Parma, in curva Nord compare uno striscione piuttosto esplicito: “Montaño resta dove sei!”. Ciro torna il 20 gennaio, chiede scusa all’allenatore e ai vertici societari ma non spiega il motivo della fuga. “Non chiedo che mi capiscano o che comprendano – dice al Corriere dello Sport – ma solo che mi ascoltino”.

ATTO DIMOSTRATIVO

Un paio di giorni dopo Ciro è sulla pista d’atletica dello stadio Garilli a fare lavoro differenziato col preparatore. Alcuni tifosi del Piace – quattro, dicono i giornali – superano i cancelli ed entrano in campo. “Montaño, dopo essersi beccato qualche spinta e un pugno, si è difeso prendendo un paletto di ferro che aveva a portata di mano e agitandolo per tenere alla larga gli aggressori, quindi è riuscito a fuggire dentro gli spogliatoi” scrive la Gazzetta dello Sport. “In realtà – racconta Davide Reboli alla Batusa dieci anni dopo – fu solamente un atto dimostrativo. Non era la prima volta che Montaño scappava. Lo aveva già fatto a Parma e a Verona, e volevamo fargli capire che chi indossava la maglia del Piacenza doveva tenere un comportamento diverso. Così entrai in campo, presi un ostacolo di quelli che usava la Salvarani per fare atletica e glielo tirai dietro. Lo sfiorai, ma riuscì a scappare. Quel giorno stabilì il record dei 100 metri sulla pista del Garilli. I giornali parlarono di “naziskin” e di razzismo, ma non c’entrava proprio nulla. Ripeto: era solo un atto dimostrativo. Tra l’altro, dopo quell’episodio, mi diedero pure il Daspo e fui costretto a stare lontano dallo stadio per un bel pezzo”. Ciro torna a Parma per qualche mese e sembra che il Napoli allenato da Franco Scoglio gli voglia dare un’altra possibilità. “E’ un calciatore delizioso –  disse Scoglio – e sarebbe l’ideale per una folla che ha ammirato un certo Maradona. Noi dobbiamo salvarci, ma lo vogliamo fare offrendo spettacolo e divertimento. Quindi Montaño sarebbe il giocatore giusto”. Ma eravamo sotto Natale. E Montaño sparì. Girovagò tra Qatar e Perù, dove indossò la maglia dell’Alianza Lima, una squadra fondata da un gruppo di lavoratori di una scuderia di cavalli. L’estate scorsa, a 29 anni, Ciro ha firmato un contratto con l’Universidad San Martín, un altro club peruviano. Continua a fare tunnel e ad avere nostalgia della Colombia.

UN PO’ DI GOL DI CIRO

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