IL FACCHINO PIO

La beatificazione della lotta di classe nel corteo dei Cobas, tra bambini che cantano “via la Lega da Piacenza” e giovani immigrati che fanno video col telefonino. I rifondaioli scaldano la folla col megafono ai giardini Margherita, poi parte la manifestazione. Però sui cori bisogna migliorare. 

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTOGRAFIE: IDEM

Il coro da stadio è un’arte. Va provato e riprovato in allenamento, serve orecchio, ritmo, sincronia col resto del gruppo e birra calda. I facchini dell’Ikea ci provano e ci credono sul serio, ma sono un po’ ripetitivi. Che Guepalla – che poi è Carlo Pallavicini, ma ormai lo chiamano tutti così – dà un tocco di fantasia alla squadra, ma spesso il corteo si spacca in due e finisce che quelli davanti cantano una cosa e quelli dietro un’altra. I facchini cercano di fare ricorso ai cori da stadio tipo “la gente come noi non molla mai, la gente come noi, la gente come noi, la gente come noi non molla mai!”, ma viene un po’ così. Non ha importanza. I facchini non sono tifosi e questa non è una partita di calcio. Questa è la beatificazione della lotta di classe, il termine più utilizzato durante la manifestazione di protesta contro Ikea di ieri sera. La lotta è nelle parole dei rifondaioli che scaldano la folla col megafono prima della partenza del corteo, è nella maggior parte dei cori che i Cobas intonano da via Roma al Corso, è negli sguardi incazzati di chi rischia di perdere il lavoro e tiene il suo bambino per mano. “Lavoriamo per loro!” urlano i facchini. I bambini imparano in fretta. Ascoltano un paio di volte, si guardano attorno, poi ripetono tutti gli slogan a memoria. Non hanno paura né del casino né degli sbirri in assetto antisommossa che camminano all’indietro per monitorare la situazione. Sentono il papà che grida “via la Lega da Piacenza!” e gridano “via la Lega da Piacenza!”.

CIAO MAMMA SONO IN TIVU’

Ai giardini Margherita, intorno alle 17,30, c’è già una piccola folla di facchini avvolti nelle bandiere rosse. I giornalisti scattano foto con l’iPad e cercano i volti noti della politica. C’è Ignazio Brambati con la canottiera sotto la camicia, c’è Nando Mainardi con la bandiera di Rifondazione, c’è Roberto Montanari col fazzoletto al collo, c’è Carlo Pallavicini con i pantaloni mimetici. Dopo il discorso del delegato nazionale dei Si Cobas, Aldo Milani, parlano Mainardi e Montanari. Lotta è il termine preferito, quello che rende meglio l’idea. I facchini andranno fino in fondo. I facchini non si arrenderanno. Poi la parola passa al delegato provinciale dei Si Cobas, Mohamed Arafat: “Chiediamo aiuto al profeta di Piacenza, al sindaco Dosi”. C’è odore di sigaro, una signora sta sotto un lampione difettoso. Porta un cartello con la scritta “lacrimogeni e manganelli contro lavoratori e studenti. Vergogna”. Ci sono pensionati che credono ancora in certe cose e giovani capelloni che hanno appena iniziato a crederci. Dicono che ci siano anche le telecamere di “Annozero”. Passiamo davanti a tutte le telecamere con la speranza di apparire nella trasmissione di Michele Santoro per avere qualche like su Facebook che fa sempre figo. Inizia il corteo e i facchini partono forte: “Si Cobas! Si Cobas! Si Cobas!”. Si mettono dietro uno striscione con la scritta “siamo uniti!”, ma quelli in testa al gruppo vanno troppo veloci e si crea una piccola spaccatura tra quelli davanti e quelli al centro. Che Guepalla detta i tempi e cerca di ricucire lo strappo con la collaborazione di Arafat e degli altri facchini. “Lavorare tutti! Lavorare tutti!”.

CHE FARE? DUE EURO

Via Roma. Un parrucchiere cinese esce dal negozio per dare un’occhiata a quella lunga fila rossa che canta “Ikia mafia!”. Esce anche la moglie e lo richiama all’ordine. C’è del lavoro da sbrigare. I facchini hanno le idee chiare, le testate piacentine un po’ meno: per Libertà i manifestanti sono circa 300, per PiacenzaSera 250, per ilPiacenza 130, per Piacenza24 un centinaio. Riparte il coro “Ikea mafia!” supportato dai fischietti, ma al centro degli slogan dei Cobas c’è sempre la lotta: “Il posto di lavoro non si tocca, lo difenderemo con la lotta!”, “Lotta dura senza paura!”, “La lotta di classe è la soluzione!”. Chi si aspettava tensione dopo gli scontri con la polizia della settimana scorsa resta deluso: la manifestazione è assolutamente pacifica. In mezzo al corteo c’è un tizio che vende giornali. Lo avviciniamo. Sono copie di Che fare, il giornale dell’organizzazione comunista internazionale. Dev’essere nostro. “Due euro prego”. Due euro. Sfogliamo Che fare – c’è un lungo articolo sulle origini di Forza Nuova e Casa Pound con riferimento esplicito a un libro di “Ariana Fallaci”, come la chiama l’autore del pezzo – e proseguiamo verso Piazza Cavalli. I facchini intonano il loro grande classico, quello che li rappresentò ai tempi della Tnt: “Busta paga falso! Busta paga falso!”. E ancora: “Ikia nazista, lavoro da schiavista!”. Il corteo si scioglie a Barriera Genova. I facchini più giovani riguardano il video che hanno girato col telefono. Sorridono. E’ venuto bene.

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1 Comment on "IL FACCHINO PIO"

  1. Roberto Montanari | Novembre 8, 2012 at 6:14 pm | Rispondi

    Un ruvidissimo sarcasmo al velluto, ma lo stile narrativo è davvero piacevole.
    Quella che sbagli è la mira, il problema non sono i rifondaioli o i facchini, il problema è chi crea lavoro di merda per 400 euro/mese facendoti oltrettutto sentire straniero in quel meccanismo infernale.
    L’altra cosa che canni completamente è che io non porto fazzoletti al collo, ma una leziosa sciarpa azzurra coi gechi.
    Se ci vediamo ti offro una cedrata Tassoni. Bob Montanari

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