UNO STRISCIONE, UNA BANDIERA

Fernanda Garilli era una donna elegante, ed eleganti sono le persone che le hanno dato l’ultimo saluto nella chiesa di San Corrado. Non ci sono scarpe Nike, ma completi a tinta unita, odore di lacca e naftalina dell’abito buono. Solo gli ultras sono vestiti da ultras: appendono uno striscione e posano una bandiera del Piace sulla bara. Le testate piacentine parleranno di folla, ma era lecito – e logico – aspettarsi molte più persone a rendere omaggio a una donna importante.

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TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: EMANUELA GATTI PER LA BATUSA

Fernanda Garilli era una donna elegante. Portava il tailleur anche in casa e d’inverno indossava una pelliccia scura con un foulard discreto. Fernanda aveva grazia e capelli biondi. Li teneva sciolti sulle spalle oppure raccolti dietro la nuca per scoprire gli orecchini. Nella chiesa di San Corrado le donne hanno un portamento nobile, lo stesso che aveva lei. Portano vestiti a tinta unita, tacchi alti e acconciature ordinate. Nel piazzale c’è odore di lacca e naftalina. Le donne, giovani o vecchie, sono appena state dalla parrucchiera; gli uomini, giovani o vecchi, indossano l’abito buono. In chiesa ci sono poche scarpe Nike e poche paia di blue jeans. E’ una questione di abitudine e di buone maniere. Solo gli ultras sono vestiti da ultras. Arrivano per primi, stringono i pugni nei guanti senza dita e nascondono lo sguardo da duri dietro gli occhiali con le lenti scure. Appendono uno striscione bianco con scritto “ciao Fernanda, salutaci l’Ingegnere”. Poi si sistemano all’imbocco del piazzale con le gambe larghe e i gomiti piegati come quando fanno sicurezza fuori da un locale. Controllano che tutto sia in ordine, vigilano sull’ultimo saluto alla moglie di Leonardo. Sono in una ventina, c’è la vecchia guardia con Marco e Davide Reboli e qualche giovane che ha solo sentito parlare della signora Fernanda. Davide stringe una bandiera del Piace tra le mani, ma non la appende. La tiene lungo la gamba destra e aspetta. Sul piazzale ci sono quelli che la chiamavano semplicemente Nandy: i vecchi amici e le vecchie amiche, quelli che conoscevano di persona il suo carattere forte e i suoi modi delicati.
Quando arriva il feretro gli ultras lasciano il loro presidio e si accodano. Davanti a tutti ci sono Marco e Davide. Intanto sono arrivati Gianni Rubini, storico segretario del Piacenza e grande amico di Fernanda, l’avvocato Corrado Sforza Fogliani, l’ex ad di via Gorra Maurizio Riccardi, il vicesindaco Francesco Cacciatore e tante altre persone che leggerete domani su Libertà con relative interviste. C’è anche il mister William Viali con la squadra in divisa che aspetta l’arrivo del feretro e poi lascia il piazzale perché – dicono – ha allenamento. Sarebbe stato bello che i giocatori fossero rimasti lì fino alla fine, perché adesso il marchio del Piacenza Calcio è sulle loro felpe. Il feretro procede e si ferma davanti al portone della chiesa. Scendono Fabrizio e Stefano Garilli con le rispettive famiglie. Si fermano per un attimo davanti alla bara, poi la piccola folla si apre e lascia passare Davide Reboli, che con un gesto aggraziato, rispettoso, che non ha nulla a che vedere con la gestualità tipica di un capoultras, posa la bandiera biancorossa sul feretro. E’ l’ultimo gesto prima della cerimonia funebre, è il rito finale che viene concesso solo a chi ha lasciato un segno profondo tra i tifosi del Piace. “Se ne è andato un pezzo di storia del Piacenza Calcio” dice Marco Reboli ai giornalisti. Poi i tifosi tornano sul piazzale e aspettano. In chiesa don Roberto Mazzari dice quello che tutti sanno: “La città rende onore a una donna che ha partecipato con entusiasmo e discrezione (discrezione è la parola che ricorre ogni volta che si parla di Fernanda Garilli, nota della Batusa) alle vicende del Piacenza Calcio accanto al marito. Grazie da tutti noi e da tutta la città”. Ma la città risponde solo in parte. Le testate piacentine parleranno di folla, fanno sempre così, ma la verità è che era lecito – e logico – aspettarsi molte più persone per rendere omaggio a una donna importante che ha contribuito a creare – e a portare avanti – qualcosa di grandioso. E’ la testimonianza del fatto che il concetto di riconoscenza appartiene solo a pochi piacentini. In chiesa non c’è posto e c’è gente in piedi, ma sul piazzale ci sono solo gli ultras e qualche altra persona che fuma una sigaretta, oltre ai fotografi che aspettano l’uscita del feretro per giocarsi lo scatto migliore. Il feretro esce, i fotografi fanno il loro lavoro, gli amici e i semplici conoscenti si stringono attorno a Fabrizio e Stefano. Gli ultras applaudono, la folla lascia il piazzale. Il feretro procede solenne e discreto. Come la grazia.

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