Abbiamo bevuto un robo con un gruppo di alpini in ricognizione. Venivano da Brescia e hanno ordinato Ortrugo e Gutturnio in un bar del centro. Il barista che ha provato a mettere il ghiaccio nel loro vino ha capito che cosa l’aspetta tra meno di un mese. “Il vostro stemma è la lupa che allatta? Siete terroni dài…”.
TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: IDEM
Abbiamo bevuto un robo con gli alpini. A dire il vero l’hanno bevuto loro, noi abbiamo solo dato qualche dritta sulle bottiglie perché l’esperienza ci ha insegnato a non mischiare mai il vino con la birra. Alla fine hanno scelto Ortrugo e Gutturnio perché volevano allenare il fegato in vista dell’Adunata. Ci siamo accorti che erano alpini quando hanno ordinato quattro bottiglie in sei e quando ci hanno chiesto “scusate, ma il centro è tutto qui? E noi dove stiamo, uno sopra l’altro?”. Erano alpini in borghese. Non avevano cappelli con la penna e tutto il resto, solo una piccola spilla sulla camicia. Venivano da Brescia e avevano appena concluso il sopralluogo della città. Così hanno fatto tappa in un bar del centro e attorno alle 15,30 hanno chiesto affettati e bottiglie dei colli piacentini. Vederli mangiare e bere è stato uno spettacolo indimenticabile. Se sono tutti così – e a quanto pare sono tutti così, buongustai con una venerazione quasi mistica per l’alcol – a maggio ci sarà da divertirsi. Tutto è cominciato quando ci hanno chiesto di scattare una foto ricordo col loro Samsung Galaxy da pubblicare su “fesbuc”. Il saggio del gruppo – il più vecchio e quello con le guance più rosse – era a capotavola e dava le direttive: “Versa, oh, ancora un po’, ancora un po’ dài”. Il barista era leggermente in difficoltà e lo abbiamo consolato dicendogli che questo è niente in confronto a ciò che l’aspetta tra meno di un mese, quando capirà che anche solo pensare di mettere il ghiaccio nel vino di un alpino è un errore imperdonabile.
Non abbiamo detto loro che siamo della Batusa e bla bla bla, tanto non gliene sarebbe fregato niente. Ci siamo limitati a fare una lunga chiacchierata in cui abbiamo scoperto che anche se arriveranno in 400-600mila loro un posto dove stare lo trovano sempre. Il barista, un po’ impaurito, ha proposto loro un piatto di tortelli ed è stato gentilmente ignorato. Volevano coppa, pane e salame. Quando gli hanno chiesto “capisci el dialèt bresà?” il barista ha fatto finta di aver scordato di fare un caffè. “Ma qui è così difficile trovare un posto in cui mangiare salame alle 15 del pomeriggio?”. Benvenuti a Piacenza, ragazzi. “Uhm. Siamo venuti in avanscoperta per vedere come stanno le cose e per cercare un posto in cui piantare la tenda” ci dicono mentre aspettano gli affettati. “In centro è tutto chiuso, sarà l’orario, boh. Però la città è carina dài. Il vostro stemma è la lupa che allatta giusto? Come quello della Roma. Uhm. Siete terroni dài…”. Poi è intervenuto un altro, l’esperto di tecnologia, che stava cercando di inviare la foto con “wozzapp”. E così questa è Piacenza. Quanti abitanti fa?”. Dicono più o meno centomila, ma forse è una leggenda metropolitana. “Centomila? Pensa che all’Adunata di Bolzano, che è grande il doppio, eravamo tutti schiacciati dài. Eh eh”. Qui è intervenuto il saggio: “In centro si può circolare con le macchine?”. Ci vuole il permesso. “E uno che viene da Cagliari come fa?”. Che viene a fare a Piacenza uno di Cagliari? “Eh, hai ragione dài. Comunque arriviamo minimo in 400mila. A Brescia eravamo 600mila, e c’erano ancora i trattori e i mezzi vari che adesso all’Adunata non ci sono più. Mi sa che qua a Piacenza cammineremo uno sulla testa dell’altro. Sempre meglio che a Bassano, che fa 50mila abitanti. Mangiavamo in braccio al nostro vicino di posto… Ma a noi mica interessa dài, noi stiamo bene ovunque, staremo benissimo anche qui. Vi divertirete dài”. Poi è arrivato il vino e li abbiamo persi.
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