DIVERSAMENTE BOMBER

Corre strano. Sembra che non ne abbia bisogno. Ha il passo cadenzato e sciallo tipico degli attaccanti che alla corsa preferiscono le belle giocate e i gol. Perché correre quando puoi segnare? Poi si sbatte, certo. Rincorre i difensori, non sta fermo a guardare quando perde palla, pressa l’avversario. Sempre con quell’aria da “se devo fare lo faccio, ma preferisco calciare in porta”. E quando sta per calciare in porta lo vedi dai capelli tenuti indietro con la fascetta: quando carica il tiro s’alzano all’improvviso e quando ha calciato tornano ordinati sulle spalle. Senza quei capelli non sarebbe Christian Tiboni. E’ il suo segno distintivo, quello che lo caratterizza rispetto agli altri. Lunghi e biondi. In campo lo vedi subito, non ti puoi sbagliare. C’è il numero 9 sulla maglia, d’accordo, ci sono le scarpe arancioni, ma Tiboni lo noti per i capelli ben curati che enfatizzano ogni suo movimento. Ieri col Ribelle – quinta vittoria di fila per il Piace – non ha segnato, ma ci è andato vicino un paio di volte. Quando è stato sostituito i tifosi gli hanno chiamato l’applauso e lui li ha accontentati prima di raggiungere il tunnel degli spogliatoi. Lo chiamano già “Tibo” ed è uno di quei giocatori che, chissà perché, sono portati a diventare idoli delle folle. Hanno qualcosa dentro e fuori che gli altri non hanno. Un certo tipo di muoversi, una certa particolarità fisica, una storia curiosa alle spalle, l’atteggiamento in campo o davanti ai giornalisti: nessuno sa che cosa sia, ma Tiboni ce l’ha. Quando è arrivato a Piacenza, la prima cosa che abbiamo fatto è stata guardare le statistiche: 24 gol in 9 anni, ovvero quanto di più lontano ci sia da un bomber. Avevamo paura che Tiboni fosse uno di quegli attaccanti che fanno salire la squadra e che giocano per i compagni, quel tipo di centravanti che piace molto agli allenatori ma che non scatena la fantasia degli appassionati e dei tifosi. Noi piacentini siamo gente semplice, a noi piacciono gli attaccanti che la buttano dentro. Per tutto il resto c’è Murgita.
Che poi sappia giocare a calcio, bé, lo capirebbe anche un tifoso della Cremonese. Tra i 24 gol messi a segno dal 2005 (Atalanta) al 2014 (Biancoscudati Padova), per esempio, c’è n’è uno molto particolare: quello segnato il 26 agosto del 2010 in Europa League con la maglia del Cska Sofia, segno che Tiboni era comunque arrivato in alto. Chi mastica calcio (e beve birra Moretti) lo conosceva per nome, dato che ha giocato in squadre di un certo livello come Sassuolo, Foggia, Ascoli e Verona, oltre ad aver esordito con la nazionale Under 21. Il perché a 26 anni Tiboni giochi in serie D non lo sappiamo e non ci interessa saperlo. Ora è qui e qui è diventato bomber Tiboni. Un po’ perché l’appellativo di bomber è un termine salito alla ribalta grazie a pagine di Facebook e a canali di You Tube e s’addice bene a qualunque attaccante, un po’ perché Tiboni porta con sé quel qualcosa di cui abbiamo parlato prima, quella particolarità che ha permesso ai tifosi di affezionarsi a lui. Poi segna pure, magari non tantissimo, ma la mette. Negli occhi abbiamo ancora un gol che ha fatto in trasferta (contro chi non ce lo ricordiamo, non chiedeteci troppo). Stop, bomba da distanza siderale, palla dentro. Con la calma e la naturalezza di un postino che consegna una lettera, come se fosse un atto dovuto, una cosa da fare anche se non hai tanta voglia di farla. Cheppalle, devo metterla all’incrocio. Gol. Poi esulta perché così vuole il calcio, torna lentamente a centrocampo e sistema la fascetta sui capelli. Anche questa è fatta. Per diventare bomber non occorre essere bomber.

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