A leggere l’intero elenco degli eletti del Pd di Matteo Renzi che nel 2014 hanno versato mensilmente il loro obolo al partito, si fa un salto sulla sedia. Manca un nome che sempre è stato in cima a quegli elenchi: quello di Pierluigi Bersani, ex segretario del partito, militante fin dalla prima ora, geloso custode della ditta. Possibile che non abbia versato in cassa un centesimo della sua indennità parlamentare, violando il regolamento finanziario del Pd? No. Bersani si è tassato per il partito come al solito (nel 2013 aveva versato 21.400 euro). La novità è che non vuole farlo sapere: per quello il suo nome non risulta negli elenchi. Imbarazzo? Vergogna? Altri motivi? Fatto sta che nel 2014 Bersani ha chiesto di non rendere pubblici i suoi versamenti al partito, invocando la legge sulla privacy. Si può fare solo da un anno: è la triste novità della legge sul 2 per mille Irpef, che per la prima volta rende possibile oscurare le entrate di un partito politico. Prima Letta e poi Renzi hanno forzato l’approvazione di questa norma riportando la trasparenza della politica ai tempi di Mussolini. E Bersani ne ha approfittato.
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