IL RISVOLTONE

di Nicolò Premoli

Non ci ho mai capito granché di moda. Mi bastava giusto giusto non allacciarmi le stringhe per sentirmi in linea con il trend. E pure un po’ pirla. Mentre la Parmalat distribuiva bond argentini e Superga bicolore, c’era chi, come me, era alle prese con le tute da ginnastica in triacetato. Della Kappa o della Lotto, senza dimenticare quelle della Nike. Da sfoggiare in occasioni importanti come in quei giorni in cui l’orario recitava educazione fisica alla prima ora.
Quella tuta era destinata a durare almeno per tutte le medie. Durante quegli anni in cui di solito si accumulano brufoli e soprattutto centimetri. Altro che risvoltini su jeans a vita bassa e sneaker dell’Adidas: il risvoltone era una necessità. A meno che non si volessero utilizzare i pantaloni di quella tuta per contribuire alla pulizia delle strade cittadine. Servivano un paio di giri soltanto per scoprire le scarpe e non inciampare ad ogni passo. Nessuno pensava di mettere in mostra la caviglia: per lo scopo sarebbero serviti altri due giri e magari un colpo di forbice.
Non so nulla di moda, ma c’è chi parla sempre di abbinamenti. Che un colore non va bene con questo, ma va benissimo con l’altro. E che se metti marrone su marrone sei per qualche strana regola sociale una persona orribile. Abbinare il risvoltone era però un’impresa semplicissima: stava bene con la giacca della tuta. In colori che andavano dal rosso semaforo al giallo evidenziatore.
Il risvoltino è un capriccio della moda, il risvoltone era una sfida alle regole imposte dalla società famigliare. Un atto di rivolta contro le tre taglie in più che si trovavano sempre in saldo. Difficile dire se tornerà ad essere una tendenza per le prossime stagioni. Ancor più difficile prevedere se la tuta tornerà ad essere complemento delle ore di ginnastica. Ma se dall’armadio sono tornate fuori le Superstar, perché non potrebbero farli i pantaloni della tuta? Saranno comunque troppo lunghi. Anche a distanza di una decina d’anni.

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