AVEVO UN FEGATO (ORA HO UN MINIBAR) STORIA DELLA COOP DELL’INFRANGIBILE

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TESTO: FILIPPO MERLI; FOTOGRAFIE: COSTANZA CAVANNA

Con questo pezzo la Batusa comincia una serie di articoli sui monumenti della città.

Chi la conosce dice che la Coop dell’Infrangibile non è più quella di una volta. “Ci sono meno clienti, anche perché molti sono morti” dice Mario, occhiali con le lenti sfregiate e alito che puzza di vino. Mario frequenta la Coop da mezzo secolo, conosce ogni angolo del locale inaugurato nel 1946 e non ha voglia di fare polemica. “Non farmi dire altro, giornalaio. Scrivi solo che la Coop non è più quella di un tempo”. Accanto a lui c’è un ragazzo sulla ventina che sottoscrive in pieno: “Ha ragione Mario, la cooperativa non è più quella di trent’anni fa”.

DELLA POLITICA NON CI FREGA NIENTE

I giovani della Coop preferiscono la birra al vino e si ritrovano in via Alessandria per sbronzarsi. “I prezzi degli alcolici – dice Dario Rigolli, detto Darione, 28 anni, socio della Coop dallo scorso maggio – sono più accessibili che altrove e quindi ci si può permettere un bicchiere in più”. I ragazzini hanno trovato il modo di risparmiare anche quei pochi spiccioli: si portano direttamente le bottiglie da casa, le nascondono nello zaino e riescono a eludere la sorveglianza dei baristi senza problemi. “Ragazzate” taglia corto Darione. “E poi chi è che a diciott’anni non è mai andato in giro con una bottiglia di rosso nello zaino?”. Dario rolla una sigaretta e beve vino bianco sfuso con ghiaccio. Per bere vino bianco sfuso con ghiaccio ci vuole coraggio, soprattutto se il vino è quello a basso costo della Coop. “A me piace, sarà che ci ho fatto l’abitudine”. ‘Il vino della Coop’ è anche una canzone. L’hanno composta un paio di ragazzi che la frequentano abitualmente ed era il pezzo forte delle esibizioni dei Banana Hammock: “Una volta avevo un fegato, adesso ho un minibar; vodka e tequila fan spazio alla saliva. Bevo anche acquasanta corretta col rum, ma quello che preferisco è il vino della Coop”. “Vengo qui da parecchi anni insieme ai miei amici” racconta Darione. “Ci facciamo un bicchiere, parliamo un po’, giochiamo a calciobalilla”. Il calciobalilla cade a pezzi. Gli omini rossi e blu ne hanno viste troppe, le aste sono tutte storte e vengono oliate col grasso della cotica avanzato al banco dei salumi. “Quel grasso ha qualcosa di miracoloso: le aste, dopo il trattamento, scorrono che è un piacere”. Dario ordina il vino a quartini – “questo è il primo che pago da diversi mesi” – ed è un giovane comunista. “A molti ragazzi che vengono qui della politica non frega niente. Vengono qui per bere. Fine. Altri, invece, sono di sinistra e hanno la tessera di Rifondazione. Spesso si trovano nelle sale della Coop per fare il punto della situazione”.

TINO TUBRUK

Al pomeriggio la cooperativa è frequentata dagli anziani della vecchia guardia, mentre alla sera si fa largo la nuova generazione: ragazzi con magliette troppo larghe e giovani coppie che si tengono per mano e si scambiano baci al doppio malto. L’amore al tempo della Coop. Lisa, ‘la banconiera’, come viene definita dai vecchi barricaderi dell’Infrangibile, spilla vino rosso e lo serve in bicchieri che hanno più o meno la stessa età della cooperativa. “Oggi i frequentatori della Coop sono soprattutto giovani. Alla sera c’è un bell’ambiente, i ragazzi bevono birra e non creano problemi”. Solo qualche discussione animata quando l’alcol inizia a fare il suo corso. Niente a che vedere con la pagina più nera della Coop: l’accoltellamento di un ragazzo avvenuto proprio di fronte al locale di via Alessandria. Il fatto risale a qualche anno fa e per tre-quattro mesi un paio di buttafuori con i guanti senza dita e lo sguardo da duri hanno presidiato la cooperativa. “Un provvedimento esagerato, non ce ne era bisogno” dicono Darione e Lisa. All’ingresso, sulla destra, il grande acquario pompa acqua e contiene una decina di pesci stanchi di vivere. Ci sono anche due pescegatti pescati in qualche rigagnolo della provincia. “Ma i veri pescegatti stanno al bancone” dice Lisa rivolta ai clienti più anziani che alzano il bicchiere in segno di assoluta comprensione. Le pareti della sala principale sono tappezzate di vecchie fotografie di storici personaggi piacentini. Il più titolato è il Tino di Tubruk, basco all’indietro e baffi sottili, “mitico personaggio della Piacenza del dopoguerra, il Tino rappresenta la dignità della miseria col suo modo strano di vivere e volare tra le nuvole” dice la didascalia scritta a mano. Gli effluvi del vino e l’odore di ammoniaca sono facilmente percepibili e caratterizzano l’ambiente. L’adesivo con la scritta “la Piacenza che vorrei” attaccato allo sciacquone del cesso rende bene l’idea.

COME CANTANO I BANANA HAMMOCK

Sul retro, accanto al cortile con panche storte e tavoli scarabocchiati, i soci della Coop stanno allestendo una biblioteca. Cinquemila libri donati dalla famiglia Bruschini dopo la scomparsa di Mario Luigi. Cinquemila libri che i giovani della Coop non apriranno mai perché saranno troppo impegnati a bere. “Premesso che non c’è niente di male nel farsi un paio di bicchieri – dice ancora il Darione – credo che i libri possano interessare anche ai ragazzi più giovani. Non è che i ragazzi della Coop non leggano, anzi. Io dico che la biblioteca avrà successo”. Quando scende la sera i superstiti della vecchia guardia bevono l’ultimo bicchiere mentre i giovani iniziano ad arrivare con le loro bottiglie nascoste nello zaino. “Ai miei tempi era diverso” dice Mario senza staccare gli occhi dall’Unità. Il sesto bianco gli ha fatto venire voglia di fare polemica. “Giornalaio, la verità è che noi bevevamo bianco senza Campari o altre porcherie del genere e venivamo qui per parlare di lavoro e politica. Oggi la cooperativa è un bar come un altro e spesso la politica è un pretesto per bere senza spendere troppo. La Coop non è più quella di una volta”. A sentire i vecchi dell’Infrangibile, pare che solo il vino sia sempre lo stesso dei Banana Hammock: “Al bicchiere costa un euro di sana bontà, con la fonda e odor di tappo è la specialità; bianco o rosso non fa alcuna differenza, tanto lo scopo è andare in convalescenza”.

(I. Fine)

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