IL COMPAGNO SCRITTORE

Nando Mainardi ha letto Scerbanenco e ha scritto un libro su Jannacci, il genio del contropiede. Tra storie di barboni morti tra i cartoni e uomini chiamati a riconoscere il cadavere della loro donna, il segretario di Rifondazione Comunista viaggia in parallelo tra due innovatori del genere noir. Senza dimenticare Gianni D’Amo. Ecco l’ultima puntata di “Quaderni Piacentini”, la nostra piccola inchiesta sui libri di Piacenza.

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: INTERNET

Il compagno Mainardi ha letto Scerbanenco e ha scritto un libro su Jannacci. Duca Lamberti e l’Armando, puttane assassinate e piccole storie di barbun, sbirri alcolizzati che preferiscono un pugno in faccia alle buone maniere e “quelli che quando perde l’Inter o il Milan dicono che in fondo è una partita di calcio e poi vanno a casa e picchiano i figli, oh yes”. Nando Mainardi è segretario regionale di Rifondazione Comunista e dice di non essere uno scrittore. “Non avrei mai pensato di fare un libro, però l’ho fatto”. Si chiama “Enzo Jannacci. Il genio del contropiede”, una brossura di 130 pagine edita da Zona e pubblicata in luglio (prezzo 14 euro). Nando potrebbe parlare per ore del contenuto del suo libro, ma qui siamo alla Batusa e ci interessa un’altra cosa. Vogliamo sapere come fa uno che legge Giorgio Vladimiro Scerbanenco, autore freddo, cinico, duro, a scrivere un libro su Enzo Jannacci, che tra le altre cose ha fatto anche il comico. “Può sembrare strano – dice Nando – ma Scerbanenco e Jannacci hanno qualcosa in comune. Prima di tutto, Milano. Una parte significativa dei romanzi di Scerbanenco è ambientata lì, così come molte canzoni di Jannacci, scritte e cantate in dialetto milanese. C’è un vecchio pezzo di Enzo, “I m’an ciamà” (mi hanno chiamato), in cui un uomo viene chiamato in commissariato a riconoscere il cadavere della sua donna. Ecco, quel pezzo sembra un racconto di Scerbanenco messo in musica”. Torniamo a Milano. “Scerbanenco e Jannacci rompono il luogo comune della Milano da bere e della città col cuore in mano. La Milano descritta da Scerbaneco è durissima, c’è una caratterizzazione molto forte del crimine; la Milano di Jannacci a sua volta cancella il mito del boom economico. In una delle sue canzoni più famose, “El purtava i scarp del tennis”, un barbone muore avvolto nei cartoni tra l’indifferenza della gente”.

PIACENZA NOIR

Compagno Mainardi, oggi sarebbe possibile ambientare un romanzo di Scerbanenco e una canzone di Jannacci a Piacenza? “Domanda impegnativa. Vediamo. Le canzoni di Jannacci erano basate sull’attualità e parlavano di barboni, operai sconfitti, sfigati e disgraziati. Ma anche i disgraziati sono profondamente mutati rispetto ad allora. Uno dei pezzi forti del cabaret di Jannacci – stiamo parlando degli anni Settanta – era la storia dei terun che arrivavano al Nord e non riuscivano a trovare lavoro. Oggi, anno 2012, il posto del meridionale potrebbe essere preso dagli stranieri. Anche la mala di cui cantava Jannacci è diversa rispetto a quella della nostra epoca, e lo stesso vale per i racconti Scerbanenco, che a differenza di Jannacci faceva una distinzione molto netta tra buoni e cattivi. I cattivi erano i sottoproletari, quelli che venivano da ambienti sociali marginali. Anche in questo caso i tempi sono cambiati. Detto questo, Piacenza può tranquillamente essere una piccola città noir”. Prima di leggere “Venere Privata” e gli altri romanzi di Scerbanenco, Nando ha ascoltato i dischi di Jannacci. “In principio c’è stato lui. Jannacci è un’ossessione che mi accompagna da quando ho quattordici anni. Scerbanenco, invece, l’ho conosciuto qualche anno dopo in seguito alla mia passione per il genere noir, di cui lo scrittore di origine ucraine è stato maestro e precursore al pari di Jannacci”.

E GIANNI D’AMO?

Nando non ha fatto in tempo a conoscere di persona Scerbanenco, morto improvvisamente a Milano nel 1969, però è stato a casa di Jannacci. “Il regista piacentino Francesco Barbieri – racconta – voleva girare un documentario su Jannacci e, sapendo della mia passione enciclopedica per lui, mi chiese di aiutarlo. Così andammo a casa di Enzo e gli mostrammo il filmato. Ne fu entusiasta. Purtroppo non riuscimmo a realizzarlo per mancanza di fondi, ma lì nacque l’idea per il mio libro, che non è il racconto di un fan sfegatato, ma una via di mezzo tra una biografia e un saggio”. Scerbanenco sapeva rendere interessanti le storie più banali grazie a un registro stilistico avvincente e molto descrittivo. Hai cercato di copiare il suo stile per il tuo libro su Jannacci? “No, no. Il mio libro è una specie di visita guidata nel percorso artistico e nella musica di Jannacci. Per questo ho privilegiato un linguaggio chiaro, semplice e scorrevole”. Chi è il Jannacci piacentino? “Premesso che abbiamo a che fare con un personaggio irripetibile, mi viene in mente David Zilli, un cantautore di Soarza che sa unire la canzone d’autore all’ironia e all’immaginaro surreale”. E Gianni D’Amo? “Beh, lui ha qualche somiglianza fisica con Jannacci, ma non l’ho mai sentito cantare”.

Qui trovate la prima, la seconda, la terza e la quarta puntata

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