Piacenza è un casinò e Dostoevskij si sarebbe divertito moltissimo. Giro nelle sale giochi della città, tra slot machine e bar con la moquette. Ci spiegano come funzionano le macchinette e ci dicono che il jackpot può arrivare fino a 500mila euro, una buona iniezione di fiducia per un giovane disoccupato. Ecco la seconda puntata di “Compro oro”, la nostra piccola inchiesta sulla crisi a Piacenza.
TESTO: FILIPPO MERLI; FOTOGRAFIE: IDEM
La ragazza al bar dice di aspettare il responsabile di sala. E’ di là che sta contando i soldi. Si sente un dolce tintinnio di monete, un paio di manciate di quella roba e potremmo passare una serata divertente. “Un momento solo”. C’è buio, lo stereo passa un pezzo jazz. Il locale è elegante. C’è la moquette sul pavimento, una quindicina di slot machine con strani nomi illumina la stanza, al centro c’è un tavolo con bottiglie di Chardonnay e Armar in ghiaccio. Il bancone è di quelli seri. Con gli sgabelli imbottiti, la birra Forst alla spina e il Campari bene in vista. Puoi farti un goccio solo se giochi alle slot, questa è la regola. Lo dice il cartello. Dice anche che è vietato fare fotografie. La ragazza porta una camicia bianca sotto il gillet bordeaux per dare l’ultimo tocco di classe al banco. Le slot continuano a lampeggiare. In fondo è molto semplice: basta schiacciare un bottone e mettere in fila tre angurie sullo schermo per dare la svolta alla tua fottutissima vita. Il resto è roba per strizzacervelli: la dipendenza, il vizio, il gioco d’azzardo che ti rovina e ti lascia al verde. Questi non sono problemi dei gestori delle sale giochi. A Piacenza – ci dicono – ce ne sono una dozzina. Le macchinette coi tasti colorati hanno sostituito le vecchie slot machine con la leva da tirare verso il basso. Qui non siamo a Las Vegas. Qui si gioca per fare soldi, non per divertimento. Si gioca per arrotondare lo stipendio e per pagare il meccanico. Qui la letteratura non c’entra: “Il giocatore” di Fedor Dostoevskij, una specie di romanzo autobiografico sull’ossessione per la roulette, è solo un libro noioso.
I PROBLEMI SONO ALTRI
“Arriva”. Il responsabile di sala ha finito il conteggio. Siamo all’Admiral Club di via Manfredi, dove i sogni diventano gettoni. E’ l’una del pomeriggio e per il momento la sala giochi è deserta. Marco, il responsabile di sala, ha l’accento romano e mette le mani avanti: “Non sono autorizzato a fornire alcun dato relativo al locale”. E’ perfetto, visto che noi non vogliamo fare sondaggi. Vorremmo solo sapere quanti vecchi vengono qui a giocarsi la pensione perché la pensione non basta a tirare avanti. Marco legge l’articolo di Libertà che gli mostriamo, quello in cui il sindaco Paolo Dosi annuncia maggiori controlli per le sale giochi. Il discorso è sempre lo stesso: qualcuno pensa che i gestori di posti come questo se ne approfittino dei poveracci che si giocano tutto per colpa della crisi. “Chi viene qui – dice Marco alla Batusa – lo fa di sua spontanea volontà. Mica obblighiamo nessuno a entrare. E poi, dal mio punto di vista, se la gente non giocasse qui giocherebbe da un’altra parte. Ormai le macchinette si trovano in molti bar. E poi ci sono i gratta e vinci, il Lotto, il Superenalotto. Cos’è, le sale giochi non vanno bene e i gratta e vinci sì? Se uno vuole entrare, entra. Altrimenti no. E’ semplicissimo”. L’Admiral Club è stato inaugurato un anno e mezzo fa. Apre alle otto del mattino e chiude alle due di notte. Accanto c’è un “Compro oro”, mentre più avanti c’è un’altra sala giochi, il Terry Bell. “Non sono di Piacenza – dice ancora Marco – e non so chi sia il sindaco Dosi. Da cittadino, però, mi permetto di dire che i problemi sono altri, non certo le sale giochi. A Roma, per esempio, le macchinette ci sono da anni e anni, così come in tante altre città d’Italia”. La ragazza al bar dice di aver lavorato in un negozio “Compro oro” prima di servire drink all’Admiral. “E’ lo stesso discorso. Nessuno – spiega – ti obbliga a vendere un oggetto d’oro. Se vuoi farlo, lo fai. Se vuoi giocare, giochi”.
LA SALE DEL DIAVOLO
Già che ci siamo facciamo un salto al Terry Bell, la sala giochi accanto all’Admiral. Il responsabile di sala, Biagio Parrella, ci invita a entrare. Moquette e pareti sono blu, così come il bar. Ci sono un paio di ragazzi e una signora anziana coi capelli bianchi e il giubbotto rosso che stanno tentando la fortuna. “Sulle sale giochi – dice Biagio – c’è molta ipocrisia. Mia nipote fa la tabaccaia e mi dice spesso che la gente vede le sale giochi come le sale del diavolo, poi però gioca 200 euro al Lotto. E allora? Che differenza c’è?”. Il Terry Bell ha aperto lo scorso dicembre. “Non posso dire se l’affluenza sia aumentata o diminuita, se la crisi c’entra o no. Però posso dire che il target di giocatori è indefinito. Ci sono operai e industriali, così come disoccupati. C’è chi gioca molto e chi gioca poco, chi fa un paio di partite e chi resta tre o quattro ore, chi si accontenta di quello che vince e chi reinveste l’incasso col rischio di perdere tutto, ci sono donne e uomini, giovani e anziani”. In sala ci sono in tutto ventuno macchinette del tipo dell’Admiral, coi bottoni e senza leva. Biagio ci spiega come funzionano. “Queste – dice indicando una slot – sono di tipo meccanico. Funzionano con monete da uno o due euro e il principio è quello di un orologio: ogni tanto sono “costrette” a buttare fuori qualcosa. Devi essere fortunato a trovare il momento giusto. Magari metti mille euro e non ti dà niente, poi arriva uno che gioca il resto del caffè e vince al primo colpo. E’ una lotteria. Queste invece – dice Biagio indicando un’altra macchinetta – sono collegate in rete con le altre del nostro circuito. C’è un jackpot nazionale (che al momento supera i 127mila euro, nota della Batusa) che può essere vinto in qualsiasi macchinetta in qualsiasi posto d’Italia. Ogni volta che metti i soldi contribuisci ad accrescere il jackpot nazionale, che arriva al massimo a 500mila euro. Queste macchinette si basano sulla pura casistica”. Insomma, va a culo. Guarda caso abbiamo un euro in tasca, potremmo tentare la fortuna anche noi. “I cantastorie della Batusa vincono 500mila euro in una sala giochi della città”. Già vediamo il titolo sui giornali. Oh no! Libertà! Dobbiamo fare il “Piatto del giorno” e ci serve il giornale. Risparmiamo l’euro. Se questa è vita.
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