PICCOLO ANEDDOTO

Quella volta che la signora Fernanda scambiò un giornalista pivello per un malintenzionato. Era una sera di fine dicembre e in Sant’Antonino si era appena conclusa la messa in ricordo di Leonardo. Il giornalista – col registratore scarico, oltre che pivello era pure sfigato – intervistò Fabrizio Garilli per una mezz’oretta mentre la signora Fernanda guardava dallo specchietto della macchina…

Fabrizio Garilli

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: INTERNET

La signora Fernanda era in macchina con un’amica. Portava la pelliccia e parlava sottovoce. Era una sera di fine dicembre del 2008 e nella cappella di Sant’Antonino si era appena conclusa la messa in ricordo dell’Ingegnere. Alla fine della messa Fabrizio Garilli uscì a fumare una sigaretta. Era una buona occasione per avvicinarlo e per chiedergli una battuta sul Piacenza. Fabrizio ha sempre avuto poca voglia di parlare ai giornalisti. Spesso per avere una sua dichiarazione occorreva raggiungerlo fuori Piacenza, a Milano o al Salone Nautico di Genova per un incontro pubblico sui cantieri Baglietto. Qualcuno diceva che la sua scarsa loquacità fosse un difetto di comunicazione, un limite, dato che il presidente di una squadra di calcio avrebbe dovuto tenere un dialogo costante coi tifosi anche attraverso i giornali. Semplicemente Fabrizio Garilli aveva un carattere introverso e preferiva tenersi le cose per sé. Non era un difetto, né per questo poteva essere criticato. Era una scelta personale e come tale andava rispettata. Però quella sera di dicembre parlò. Ero solo, non c’era nessuno di Libertà e io lavoravo alla Cronaca. Era davvero una buona occasione per dare quello che i giornalisti chiamano “buco”, una specie di scoop, quello che per molti è l’essenza della professione, un’occasione per tirarsela e per sentirsi per un giorno migliori degli altri. Sentivo che potevo fare il colpo, un’intervista esclusiva, una di quelle notizie per cui al rientro in redazione il direttore ti chiede “ce l’abbiamo solo noi?” per spararla in prima pagina per fare incazzare ancora di più la concorrenza. Seguivo il Piace da un paio d’anni, ero ancora un pivello e la figura di Garilli mi metteva in soggezione. Ero convinto di essere respinto con una frase gentile e di tornare a casa senza pezzo. Un fallimento giornalistico, ma uno più uno meno non importava, tanto valeva provarci. Fabrizio stava finendo la sigaretta, accanto a lui c’erano la signora Fernanda e la sua amica. Mi avvicinai col registratore nella tasca dietro dei pantaloni e il taccuino in mano. Fabrizio non mi conosceva di persona. Conosceva solo il mio nome per via del giornale, ma accettò di rispondere alle mie domande dimostrando grande disponibilità. Aveva voglia di parlare. Ero stato fortunato. “Mamma, sali in macchina e aspettami che io parlo con questo signore” disse alla signora Fernanda.
La macchina era parcheggiata di fronte a Sant’Antonino. Non riuscii a presentarmi, la signora Fernanda prese a braccetto la sua amica, Fabrizio aprì loro le portiere e si sedettero. Quella era la prima volta che vedevo la moglie di Leonardo Garilli, una figura mitica per quelli che seguivano il Piacenza da anni e che avevano avuto l’occasione di vivere la storia e l’epopea del Piace targato Garilli da cronisti. Io non ero ancora nato e più tardi, da bambino, ero uno di quelli che andavano allo stadio più che altro per vedere la Juve. Ero un tifoso medio, come tutti quei tifosi medi che andavano al Garilli solo per vedere le grandi squadre e che abbandonarono il Piace quando retrocesse l’ultima volta dalla serie A. Con Fabrizio parlammo per una mezz’oretta dietro alla macchina. Il registratore si scaricò, una sfiga clamorosa, e cercai di ricordarmi tutto a memoria. Batterie scariche nell’intervista più importante che avevo mai realizzato nella mia breve carriera. Forse era un segnale. Avrei dovuto capirlo. Mentre parlavamo di Leonardo e del Piacenza di Stefano Pioli con Fabrizio, vedevo che la signora Fernanda ci guardava dallo specchietto retrovisore mentre parlottava con la sua amica. Non ci andai su. Ascoltavo il presidente e cercavo di ricordare ogni parola in maniera precisa, in modo da riportare alla perfezione le sue dichiarazioni. Andò bene, e il giorno dopo l’intervista l’avevamo solo noi. Titolo su due righe: “Se per i tifosi la serie B è un’onta sono pronto a farmi da parte”. Mi fecero i complimenti senza aumentarmi la paga. Non incontrai più la signora Fernanda.
La rividi l’estate scorsa, quattro anni dopo quell’intervista. Aveva un tailleur beige e gli orecchini eleganti. Questa volta mi presentai. “Oh, tu devi essere il giornalista che ha fatto quell’intervista a mio figlio davanti a Sant’Antonino qualche anno fa, dopo la messa per mio marito. Pensa che ti avevo scambiato per un malintenzionato. L’avevo detto alla mia amica: perché Fabrizio continua a parlare con quella persona? Che cosa vuole da lui? Perché non lo manda via? Dalla macchina non riuscivo a vedere bene che cosa puntavi verso mio figlio…”. Era il registratore scarico. Parlai con la signora Fernanda per un po’. Mi raccontò di Leonardo e di un tavolino in cui Leonardo sedeva a fumare una sigaretta nel giardino della villa di via Sidoli. Quel tavolino, mi disse, era ancora lì. Dopo la scomparsa di Leonardo non lo aveva più toccato, così come l’ufficio del marito. Mi raccontò un paio di aneddoti sulle vecchie trasferte – quella ad Acireale in particolare – che faceva insieme a Leonardo quando decise di acquistare il Piacenza, nel 1983 all’autogrill di Roncobilaccio. Dopo quella chiacchierata sentii di aver colmato parte delle lacune che avevo nei confronti dei giornalisti più vecchi di me. Loro durante una trasferta mi raccontavano aneddoti e curiosità, ricordavano vecchie chiacchierate con Leonardo, me lo descrivevano alla perfezione, ne andavano fieri. Dopo quella chiacchierata con la signora Fernanda pensai che anch’io un giorno avrei avuto un piccolo aneddoto da raccontare sulla grande storia della famiglia Garilli.

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