KEBAB IN CRISI

Il kebabbaro sul Corso ha chiuso. Non sentiremo più melodie arabe e non ci chiederanno più “con tutto?” dopo aver ordinato un panino. Vuoi vedere che la crisi ha colpito anche loro? Oppure è la rivincita del panino con la coppa? Lo abbiamo chiesto a un leghista.

KEBAB CORSO

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: IDEM

Hemingway aveva i tori. Noi abbiamo il kebab. E’ la nostra fissa, la nostra metafora di vita. Esistiamo per rispondere a una sola domanda: “Con tutto?”. Quindi è facile capire perché siamo morti un po’ anche noi quando abbiamo visto che il kebabbaro sul Corso ha chiuso per sempre. Una saracinesca abbassata e un numero di telefono sotto la scritta “affittasi”: questo è tutto quello che rimane. Un tuffo al cuore, una carezza in un pugno. I tizi che gestivano il locale alla fine del Corso ci sapevano fare: erano accomodanti, simpatici e non esageravano con la salsa yogurt. Quando andavi lì per prendere qualche birra ti davano un doppio sacchetto per reggere il peso delle bottiglie da 66 e non ti facevano rimpiangere la Sma, ti dicevano “sciao amico” e sorridevano sempre. Non ci voleva. Perché il kebabbaro sul Corso ha chiuso? Vuoi vedere che la crisi ha colpito anche il kebab? Oppure il kebab ha rotto e stiamo assistendo alla rivincita del panino con la coppa? Dubbi e interrogativi a cui solo un leghista può rispondere. “Non conosco il caso specifico del rivenditore di kebab sul Corso e le motivazioni che lo hanno spinto a chiudere” premette Gianmaria Pozzoli, il nostro leghista. “Ma la chiusura del kebabbaro non credo sia legata a un ritorno di fiamma del panino con la coppa. I motivi possono essere complessi e molteplici. Ho notato che c’è stata una diminuzione della clientela di questi fast food etnici – non solo a Piacenza, ma anche in altre città – dopo un’esplosione di aperture di negozi negli ultimi cinque anni. Troppi esercizi commerciali che hanno saturato un mercato di clienti che non è più in crescita da un paio d’anni. Chi apprezza questo cibo si è trovato di fronte ad un’offerta spaventosa di kebabbari che probabilmente anche a causa della crisi e della troppa concorrenza non hanno più avuto i margini di guadagno per rimanere aperti”.

TELENOVELAS TURCHE, UN MONDO DA SCOPRIRE

Fatto che sta siamo rimasti orfani di un kebabbaro. Ora ci saranno quelli che la butteranno sulla qualità della carne e del servizio, bisognerebbe chiedere cosa ne pensa Nereo, il buongustaio in doppiopetto della Batusa, ma comunque non è questo il punto. Il punto è che non sentiremo più quelle melodie arabe in sottofondo col citar a palla né sentiremo più quell’odore tipico che ti resta addosso per una decina di ore. I kebabbari più facoltosi – tipo il primo in via Roma – hanno anche la televisione che trasmette telenovelas turche, un mondo tutto da scoprire. Quello sul Corso aveva i tavoli rotondi e le fotografie dei clienti fissi appese alle pareti. Oltre al kebab – panino o piadina – faceva tante altre cose e ogni volta insisteva per fartele assaggiare. La carna girava, loro la raccoglievano con l’apposito affare – proprio non sappiamo come si chiama – e la mettevano in un contenitore in attesa della prossima richiesta. Poi, quando ordinavi, facevano scaldare il pane e aspettavano. Quindi lo aprivano e ti facevano la domanda fondamentale: “Con tutto?”. Se la risposta era affermativa – “sì, con tutto”, era una specie di codice – ci mettevano dentro pomodori, insalata, cipolle, patatine, salsa yogurt e salsa piccante. Poi aggiungevano la carne, facevano sobbalzare il panino per fare arrivare la carne anche ai bordi e lo infilavano in quella specie di busta da cui appena davi un morso fuoriusciva tutto. Più o meno è la stessa prassi di ogni kebabbaro, ma i tizi sul Corso lo facevano con grazia. Ora non ci sono più. Può darsi che oltre alla crisi centrino i piacentini, che cambiano idea – e mode – molto facilmente: coi locali serali, con le discoteche, coi bar per l’aperitivo e forse anche col kebab. Una volta sperimentata la novità poi si rompono, un po’ come è accaduto col Burger King. Del resto il kebab non è roba per fighetti profumati. “Dopo l’effetto “novità” di questo cibo etnico la gente ci ha fatto l’abitudine, quelli che lo provavano per mera curiosità non ci sono più – concorda Pozzoli – quindi è rimasta la clientela affezionata a questa tipologia di prodotto. Il mercato, insomma, si è ridotto dopo la corsa degli anni scorsi a provare questa pietanza turca”. L’unico ricordo che ci resta del kebabbaro sul Corso è la foto che abbiamo scattato a Nereo per lanciare la sua rubrica sulla Batusa. Bei tempi.

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