NEREO

Ah, il venerdì. Il giorno che anticipa il week end, quello dell’aperitivo e della cena in un ristorantino grazioso con l’amante. Se non sapete dove prenotare, se non siete abbastanza ferrati sulle alici fritte, ci pensa Nereo. 

nereo santo stefano

TESTO: NEREO TRABACCHI; FOTO: ARCHIVIO TRABACCHI

E bravi ‘sti ragazzi dell’Osteria Santo Stefano (già “dalla Nella”) in via Santo Stefano a Piacenza. Certo, non si sono sforzati molto a cercare un nuovo nome, e meno male che non si trovano in via Favalanciata, ma queste sono solo quisquiglie. Torniamo a bomba, non di riso perché non c’è, ma in un periodo di vacche magre come questo, rilevare un locale e rivoluzionarlo nell’aspetto e nella padella, non solo lo trovo atto coraggioso, ma lungimirante, in una città e zona dove è sempre più difficile trovare un boccone al giusto rapporto qualità prezzo. Ci presentiamo a pranzo, in due, e subito ci viene domandato: “Avete prenotato?”. Ovviamente no… Mi aspetto quindi un tragico gioco di tavoli, simili alle tazze della giostra di Alice nel paese delle meraviglie, invece mi indicano l’ultimo tavolino tra la porta della cucina e quella del cortile esterno che viene continuamente aperta perché il cesso è lì. Dopo dieci minuti, il mio lato destro è congelato, il sinistro profuma di fritto, ma ripeto: inezie. Arriva un gentilissimo ragazzo, che dopo aver spiegato che a pranzo non hanno menu scritto, ma ci dice lui tutto a voce, inizia con un lungo elenco di antipasti. Non so voi, ma quando i ristoratori fanno così, alla terza portata già non ricordo le due precedenti, sono poco propenso ad assimilare la quarta, e di conseguenza ordino l’ultima perché è l’unica che mi ricordo.
Così, mi ritrovo davanti un piatto di puntarelle alla romana, condite con acciughe e proposte anche con alici fritte (ecco da dove viene l’odore di fritto, nella foto sopra analizzo lo strano vegetale.) Chiaramente, sappiamo quale può essere la media della spesa, ma non avere i prezzi a menu, non lo trovo giustissimo (mi accorgo solo all’uscita che qualcosa è indicato su una lavagnona. La prossima volta mi porto un gesso e li cambio). Poi assaggiamo la battuta di carne al coltello freschissima, come deve essere, e la coppa di maiale proposta accompagnata da patate con tutta la loro buccia (fa massa). Tra le alternative c’era anche la rarissima testa di maiale, che richiede un tipo di cottura lungo e faticoso affinché la parte commestibile si stacchi. Vedo passare negli altri tavoli anche interessanti proposte di pesce, come un delicato salmone, e piatti di primo di vario genere. Come dessert, tra i soliti crostatoni, tortoni, tirami qui e tirami là, ho la magnifica idea di prendere uno zabaioncino caldo con frutti di sottobosco pure caldi e un altro bicchiere di pinot nero. Una miscela che sturerebbe anche le fogne di Calcutta, ma davvero eccezionale. Mi è piaciuta soprattutto l’aria d’impegno che si respira tra i volonterosi e preparati ragazzi, sia in sala, sia in cucina. Consiglio qualche piccolo accorgimento come il menu scritto anche a pranzo e mettere le tovaglie, perché appoggiare la fetta di pane sul tavolo di legno mi viene l’ansia, ma sono sulla buona strada. Due coperti, due antipasti, due secondi, due bicchieri di vino, la cafonata anni ’70 di un dolce in due: 50 euro in totale. Ci sta alla grande. Al prossimo boccone!

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