INTERVISTA COL FACHIRO

Trovare il fachiro nostrano a cui si sono ispirati i progettatori della Zolla non è stato facile. Abbiamo dovuto sprigionare tutti i nostri contatti, ma alla fine, grazie alla dritta di un esperto di fachiri nostrani, ci siamo riusciti. Come abbiamo scritto ieri, il fachiro nostrano risiede in alta Valnure, dalle parti di Lugagnano. E’ un tipo molto gentile, anche se ci ha fatto sedere su una sedia coi chiodi. L’abbiamo intervistato in esclusiva mentre meditava a mezz’aria appoggiato a un bastone (dobbiamo ammetterlo: sembrava proprio la Zolla). Il fachiro, per ovvie ragioni, preferisce restate anonimo. Così lo chiameremo col nome di fantasia di “Fachiro”.

Fachiro, come ci si sente ad aver ispirato la Zolla?
“Quando mia moglie Fachira mi ha letto l’articolo di Libertà, stentavo a crederci. Stavo facendo colazione con dei bulloni e una chiave del 12 e dall’emozione ho smesso di mangiare. Cioè, con tutti i fachiri che ci sono a Piacenza hanno scelto proprio me. Incredibile”.
E’ stata proprio Libertà a parlare di “fachiro nostrano”. Eppure non è facile trovarvi. Come mai?
“Siamo persone semplici, ci piace coltivare la nostra terra e darci delle zappate sulle ginocchia senza dare troppo nell’occhio. Sa come sono i piacentini: qualcuno potrebbe fare delle storie”.
Certo, li conosciamo bene, i piacentini. Quand’è che ha deciso di fare il fachiro nella vita?
“E’ stato mentre guardavo Giucas Casella che camminava sui carboni ardenti a Domenica Inn”.
Ma Giucas Casella non è un fachiro…
“Anche Edward di Twilight non sembra un vampiro…”.
Prosegua.
“Be’, Mara Venier era talmente esaltata mentre osservava Giucas che camminava sui carboni ardenti che non ho avuto dubbi: sono andato in cucina e ho detto a mia madre che da grande avrei fatto il fachiro”.
Poi che cosa è successo?
“Ho preso la sparachiodi di mio padre, mi sono trafitto una mano e da lì è iniziato tutto”.
Era un piccolo fachiro. Non poteva pensare che un giorno avrebbe ispirato la Zolla di Piazzetta Piacenza.
“Certo che no. Quando inizi a fare il fachiro non pensi a quelle cose, non sai dove e quanto avanti arriverai, o quanta carriera farai”.
Anche lei dorme su un letto di chiodi?
“Preferisco le puntine. Così appuntite, così colorate. Mi mettono allegria”.
Non deve essere stato facile crescere in mezzo agli altri bambini.
“No, non lo è stato. Le racconto un aneddoto. In terza elementare dovevamo fare l’albero di Natale. Avevamo tutto l’occorrente: nastri, palle, fiocchi, ma quando l’abbiamo finito la maestra s’è accorta che mancava qualcosa”.
Cosa?
“Il puntale. Era infilzato nel mio fianco sinistro”.
Fa un po’ senso.
“E non le ho raccontato di quando ho provato a conficcarmi la stella cometa in un polpaccio…”.
Immaginiamo.
“No, non credo”.
Quanti fachiri nostrani ci sono a Piacenza?
“Tantissimi. Poi ce sono anche non proprio piacentini, ma che magari hanno avuto lontani parenti originari di Piacenza e quindi per Libertà sono piacentini”.
Sì, fanno sempre così. Senta, Fachiro, che cosa ha intenzione di fare col trapano che ha appena preso?
“Mi devo soffiare il naso”.
Grazie Fachiro, è stato un onore conoscerla.
“Grazie a voi. Vi chiedo un ultimo favore: non mettete troppa enfasi nell’intervista. Io sono un fachiro umile e mi ricordo da dove vengo, anche se sono stato preso come esempio per la Zolla resterò sempre me stesso”.

Immagine di repertorio (il fachiro nostrano non ha voluto farsi fotografare)

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