SEMPLICEMENTE PREFETTO

L’esortazione non viene da chi auspica il federalismo o dalla estrema sinistra, ma da uno dei capi di Stati più prestigiosi che l’Italia abbia avuto: Luigi Einaudi. Lo scriveva nel 1944. Sarebbe una utile lettura per i politici di destra e sinistra, e per i sindacati, che sbraitano per non “perdere” la “indispensabile” prefettura.

Inventati da Napoleone – purtroppo dell’Imperatore l’Italia ha trattenuto le cose più inutili – i prefetti non sono mai venuti meno nell’Italia post unitaria, durante il fascismo fino ad approdare nell’Italia repubblicana, anche se nella Costituzione del 1948 non se ne fa cenno. Longa manus del governo, il prefetto ha sempre avuto a disposizione un gran potere sovrintendendo la pubblica amministrazione, avendo a disposizione la forza pubblica eseguendo pedissequamente – pena la sua testa – ogni ordine del ministero dell’Interno da cui dipende. «In verità, il prefetto è una lue (sifilide, nota della Batusa) che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone» scriveva Einaudi.
L’utilità del prefetto, però, ha sempre generato dubbi e li genera tuttora. Ancora Einaudi: «Democrazia e prefetto repugnano profondamente l’una all’altro. Né in ltalia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finché esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto».
Basterebbe questo per far nascere altri dubbi. Tornando ai giorni nostri, il premier che twitta aveva detto che avrebbe ridotto le prefettura a 20, una per Regione. Invece, come sempre, “fatto l’annuncio gabbato lo cittadino”. Renzi parla, ma  fa poco. E sì che l’abolizione delle prefetture porterebbe a grandi risparmi (miliardi in un colpo solo) così come la riduzione delle forze di polizia da sette a due: polizia e carabinieri. Il consenso elettorale balzerebbe in avanti. In premier multimediale, invece, chiude la Forestale (8.000 persone) e la rivende come una grande operazione.
La prefettura è la quintessenza del monstrum burocratico, del governo accentratore, che pretende di risolvere i problemi dei cittadini. In realtà fa ben poco: dai palazzi ovattati, con sontuosi tappeti, arazzi, quadri e mobili del ‘500 arrivano poche soluzioni. Crisi aziendali, criminalità, ambiente, catastrofi. Grandi tavoli, riunioni, una bella segnalazione a Roma e nulla più. E se qualche prefetto se ne avesse a male è pronta una domanda: l’operazione Aemilia, contro la ‘ndrangheta in Emilia Romagna, ha portato all’arresto di decine di delinquenti, al sequestro di milioni di beni e di aziende. Orbene, in prefettura si fa la certificazione antimafia. Ma i prefetti da Piacenza a Rimini non si sono mai accorti di nulla? Loro no, ma, per fortuna, i carabinieri sì.
La difesa strenua di questo “centro decisionale” è antistorica e dà l’idea di una Italia che affonda sempre più prepotentemente le radici nei Borboni. Controllo ferreo e deciso dall’alto. Non importa che ci sia il re, il podestà o il ministro. Ciò che conta è gestire potere, prebende e benefit attraverso caste istituzionali riconosciute e legittimate dal potere centrale. Con tanti saluti ai cittadini, sudditi a cui spetta il dovere di pagare le tasse e di non “disturbare mai il manovratore”.
«Nei paesi dove la democrazia non è una vana parola, la gente sbriga da sé le proprie faccende locali (che negli Stati Uniti si dicono anche statali), senza attendere il la od il permesso dal governo centrale» scriveva Einaudi.
L’invito a chi si batte per le prefetture è ancora quello di rileggersi questo articolo. L’ultimo concetto preso da quel testo di Einaudi è illuminante e quanto mai attuale per i cittadini, vessati da una pubblica amministrazione fatta di piccole e cavillose regole che tengono gli italiani alla catena: «Chi, se non un funzionario statale, può interpretare ed eseguire le leggi, i regolamenti, le circolari, i moduli i quali quotidianamente, attraverso le prefetture, arrivano a fasci da Roma per ordinare il modo di governare ogni più piccola faccenda locale? Se talun cittadino si informa del modo di sbrigare una pratica dipendente da una legge nuova, la risposta è: non sono ancora arrivate le istruzioni, non è ancora compilato il regolamento; lo si aspetta di giorno in giorno. A nessuno viene in mente del ministero, l’idea semplice che l’eletto locale ha il diritto e il dovere di interpretare lui la legge, salvo a rispondere dinnanzi agli elettori della interpretazione data?».

Foto PiacenzaSera

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