A PEZZA

pezza3

TESTO: FILIPPO MERLI; FOTO: FACEBOOK

Trovi Pezza col carrello,
coi cartoni e col cappello,
un’offerta questa volta gliela do.
(Piacenza, Fratelli Borgazzi).

Pezza era un barbone. Un barbone come si deve. Non era un artista di strada (i suoi quadri erano spaventosi) e non era uno scrittore (Walt Whitman invece lo era). Le testate piacentine l’hanno definito “clochard” per dare un tocco romantico a un personaggio che di romantico non aveva nulla e a cui non importava nulla del romanticismo. Pezza cagava davanti alle chiese e si masturbava dietro i cespugli. Queste probabilmente sono le cose più romantiche che ha fatto in vita sua. Ed è perfetto così, è lui, senza aggiungere altro, senza rispolverare le canzoni di Fabrizio De Andrè per fare letteratura. Mai come nel caso di Pezza la retorica e la pietà post mortem sono inutili. Sono un insulto a lui e ai suoi cartoni.
La prima volta che l’ho visto stavo giocando nel cortile di casa. Avevo più o meno sei anni e mio nonno era nell’orto. Ero intento a costruire una rampa per lo skateboard quando lo skateboard non era ancora una pratica per giovani comunisti. A un certo punto quest’uomo sporco, vestito male e con una cuffia messa un po’ sbilenca sulla testa mi chiama. Io, che avevo paura anche di inserire la marcia veloce sulla Pep Perego, resto a debita distanza e cerco di capire che cosa vuole da me. So bene che non devo accettare caramelle dagli zingari, mia madre mi ha catechizzato a dovere. Così, piccolo codardo, corro dal nonno. Il nonno torna insieme a me davanti al cancello. Io resto dietro di lui, pronto a chiamare aiuto. L’uomo s’attacca alla recinzione e parla a bassa voce. Vuole una pentola. Mio nonno dice che non abbiamo una pentola di troppo da dare a lui. Lui bestemmia e torna zoppicando sulla scalinata della scuola De Amicis. Temendo eventuali ripercussioni per via della pentola, corro in casa e mi vesto da guerriero ninja. Infilo la spada nella maglietta, un pugnale nella calza e prendo un binocolo che avevo trovato in quei set con distintivo, pistola e manganello che vincevi al luna park. Quel binocolo è stata la causa della mia attuale cecità. Stringo il manico della spada e spio dalla finestra col binocolo per monitorare l’uomo con la cuffia messa un po’ sbilenca sulla testa. Resta lì, seduto sulle scale, non fa niente. Ho visto abbastanza film di Van Damme per proteggere la casa, ma soprattutto tengo il telefono sul davanzale per chiamare i miei genitori. Meglio chiamare rinforzi che agire da soli, lo dicono anche i Cavalieri dello Zodiaco. L’uomo continua a non fare niente. Mi annoio. Dopo qualche minuto lascio perdere, tolgo l’armamentario e cambio gioco, perché questo non è divertente.
Alla sera ho chiesto a mio padre chi era quell’uomo e lui mi ha detto che era Pezza. Un barbone. Più tardi venni a sapere che don Aldo, il vecchio parroco del Corpus Domini che mi aveva battezzato, ogni tanto gli dava dei soldi. Pezza li prendeva e andava all’edicola più vicina a comprare giornali porno. Poi tornava all’oratorio e chiedeva altri soldi. Don Aldo, che aveva ricevuto una soffiata dall’edicolante devoto, lo cacciava urlando “Dio ti strabenedica!”. E la volta dopo gli allungava qualche spicciolo. Perché Pezza era un barbone e viveva di quello che trovava. Chiedeva la carità ai semafori, bloccava il traffico con la sua bicicletta e l’appoggiava sulle macchine parcheggiate, graffiandole. Se ne fotteva delle macchine parcheggiate e se ne fotteva ancora di più se qualcuno lo redarguiva. Col tempo s’è dovuto adeguare, ha capito che anche i barboni devono vendere qualcosa per prendere qualche soldo, così s’è messo a fare brutti disegni che nessuno comprava. Forse erano tutti seguaci di Friedrich Nietzsche e della sua teoria sulla carità come forma di debolezza, oppure, più probabile, lo ignoravano e basta, non prima di avergli scattato una fotografia col cellulare da mettere su Facebook il giorno della sua morte. Ora che Pezza se n’è andato quelle foto sono lì, su Facebook, accanto a frasi tristi e a faccine che piangono. Forse Pezza avrebbe avuto bisogno di qualche aiuto in più da vivo rispetto a qualche bella parola da morto, ma in fondo anche questa è retorica.
La storia del miliardario che diventa barbone per scelta è troppo affascinante per non diventare leggenda popolare, sono le solite voci tramandate che, chissà perché, devono esaltare e coltivare il mito a tutti i costi, dandogli quell’alone di mistero indispensabile per l’ingresso nell’immortalità di una piccola città come Piacenza, cosa che Pezza è riuscito a fare benissimo da solo. Chi diceva che avesse scelto la strada dopo un amore finito male; chi diceva che era il quarto o quinto fratello di una famiglia facoltosa che un giorno, così, senza una ragione, ha deciso di mollare tutto per dormire al freddo; chi raccontava che Pezza era nato barbone ed è finito barbone perché era completamente pazzo. Leggende. Un po’ come la storia della sua morte. Pezza, prima di morire, è morto almeno una ventina di volte. Prima la voce girava al bar, poi, con l’avvento dei social network, si spargeva sul web. Questa volta Roberto Pezza è morto davvero. Se n’è andato a 69 anni in una stanza della casa di riposo Vittorio Emanuele. Senza letteratura, senza romanticismo. Io ho una bicicletta con le tasche e nelle tasche ci metto di tutto. Maglioni, lattine di birra, bottigliette d’acqua, mantelle per la pioggia, giornali, pacchetti di sigarette vuoti, volantini occasionali. Ogni volta che mia madre la vede mi dice “svuota le tasche, sembra la bici di Pezza”. Lo dice con un certo affetto. Per entrare nell’immaginario comune non è necessario un coccodrillo nostalgico su Libertà.

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5 Comments on "A PEZZA"

  1. E così con Pezza se ne è andato un altro pezzetto di Piacenza…non lo vedremo più dormire sui marciapiedi ,non lo sentiremo più sottolineare con colorite bestemmie la sua impazienza di attraversate un incrocio in mezzo traffico .,con quella sua bicicletta sulla quale riusciva a caricare ciarpame sfidando tutte le leggi fisiche..,eppure..chi lo sa.,,forse Pezza è davvero solo li , girato l’angolo ..con la sua bici, i suoi abiti sporchi e lidi..,ci vediamo Pezza !

  2. finalmente qualcuno che ha avuto il coraggo di dire le cose come stanno… condivido appieno l’articolo del “La Batusa”; mi spiace solo che il quotidiano locale abbia sprecato una pagina intera dedicandola un personaggio estremamente negativo, quando ci sono nostri concittadini – veramente meritevoli – che muoino quasi nell’indifferenza generale… Ora la nostra città, probabilmente, è migliorata un po’

  3. Post dissacrante, quanto la vita di Pezza.

  4. Perchè non mandi questo pezzo come Lettera al Direttore a Libertà?

  5. E’ morto, pietà per la sua anima, ma era proprio così.

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