NEREO

Quando c’è di mezzo un branzino e una buona bottiglia di bianco è difficile far arrabbiare il nostro buongustaio in doppiopetto, ma pare che all’Antica Osteria del Teatro ci siano riusciti.

BRANZINO

TESTO: NEREO TRABACCHI; FOTO: ARCHIVIO TRABACCHI

Come avrà ben compreso chi ha seguito questa rubrica sulla Batusa dal suo esordio, si tratta del sacco di un mangiatore e di un cliente, non di un critico gastronomico professionista o di uno chef. Ma in fondo, ristoranti e ristoratori non solo lì proprio per noi clienti? Non credo aprano a cucinino solo per ricevere Raspelli o Cernilli, quindi, anche noi avventori possiamo dire la nostra, visto e considerato che vivono grazie a noi. Il locale di cui voglio parlare oggi è L’Antica Osteria del Teatro, ristorante “monostellato”, da tanti anni presente nel centro di Piacenza. Prima di scrivere questa recensione ho aspettato. Ho aspettato perché avevo paura di sbagliarmi, avevo paura “fosse solo una mia impressione”, avevo paura di essere capitato in momenti in cui errare è umano: paure infondate. Credo sia necessario dividere il giudizio in due parti: il cibo e il servizio. I piatti del rinomato chef Filippo Chiappini sono stati per anni una vera innovazione della cucina nel nostro territorio (“nel”, non “del”). Il suo Foie gras, e il medaglione di astice presente in carta fino a poco tempo fa, sono sempre stati tra i miei piatti preferiti. Altre numerose e datate portate, oggi sono ormai polverose, come i tortelli e le varianti spesso denominate “alla Farnese”. Per anni ha proposto la treccia di branzino al forno, che tutti noi possiamo sfornarci in casa, poi rimaneggiata sul menu non più come treccia, ma bensì come “Branzino 2010”, e proposta come semplice trancio con l’aggiunta di una fetta di pomodoro tra pelle e polpa (come potete vedere nella foto da me scattata). Una cucina certamente di qualità, non si discute, ma troppo statica, stanca, per velleità di seconda stella o per stare al passo con ben altre recenti realtà culinarie recentemente provate. Cosa davvero notevole è la cantina, con una raccolta di bottiglie invidiabile sia per etichetta, sia per datazione, e saggiamente proposta a prezzi non eccessivi, forse complice anche il momento attuale. A pranzo, si può mangiare con interessanti formule, per cui, attraverso diverse combinazioni, ti lanciano due piatti e un bicchiere per “pochi spicci”. E qui per me sono iniziati i problemi.
Mi presento con mia madre alle 12,25 precisissime di un giorno infrasettimanale: mi accoglie uno dei camerieri sulla porta. “Buongiorno, siamo in due, c’è posto?”. Lui, ancora in maglietta osserva l’orologio e mi risponde: “Apriamo alle 12,30, fate ancora un giro e tornate tra 5 minuti.” (!). In un ristorante a una stella Michelin, con prezzi conseguenti, non mi hanno risposto: “Si accomodi, arriviamo subito…”, mi hanno mandato a fare un giro. Altra occasione: pranzo di lavoro, tre uomini e una donna, servono solo il vino ai maschietti e non alla signora. Altra occasione: cena a due in locale vuoto, mentre sto mangiano la carne lo chef esce dalla cucina per chiedermi se poi voglio il dessert, altrimenti chiude la cucina. Altra occasione, sabato scorso: pranzo di 30 persone con un relatore che ci intrattiene alla fine del pasto. Mentre la persona parla, chiedo vengano portati i caffè una prima volta, poi una seconda, poi una terza. Mai pervenuti. Allora mi alzo e vado dal titolare per domandarglielo di persona; mi dice che li fa subito servire, ma dopo altri venti minuti ancora nulla: sono le 15,20, la prima volta ho chiesto i caffè alle 14,40. Il relatore finisce, chiedo spiegazione al cameriere e poi al titolare, stessa risposta: “Vista la disposizione del tavolo (ferro di cavallo zoppo), se qualcuno parla fatichiamo fisicamente e materialmente a servire i caffè.” Non capisco come mai, dato che tutti erano seduti immobili e i clienti stessi lo hanno richiesto più volte. Ci alziamo, e mentre tra commensali ci salutiamo, vengo avvicinato da un cameriere che come perla finale mi dice: “Potete uscire dalla sala che dobbiamo pulire?” Questo alle ore 15,30 di un sabato a pranzo in un ristorante a una stella Michelin. Ci congediamo con lo chef che saluta tutti, più volte, forse per accelerare l’uscita, sentendoci ospiti poco graditi. Questa è la mia personale impressione da cliente pagante, ma anche la pura verità. Le capacità e le qualità delle mani che lavorano tra quei fornelli non sono in discussione, ma a quanto pare solo quando ne hanno voglia e tempo. E la professionalità, quella vera, dalla trattoria di provincia, all’ultrastellato Ducasse ai Dorchester in Hyde Park, non se lo può mai permettere. Errare è umano, cacciare due clienti perché il ristorante apre “tra cinque minuti”, è ridicolo. Questo ovviamente nella ristorazione, come in ogni altro mestiere. Difficile che ci faccia ritorno, ma forse dopo questa recensione ne saranno felici pure loro. Al prossimo boccone.

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6 Comments on "NEREO"

  1. Quando sono andato io mi sono trovato molto bene…strano!

  2. buono a sapere, grazie

  3. Io sono stato testimone di tre scivoloni, in tre diverse occasioni, che per modi e tempi mi hanno dimostrato la stessa mancanza di professionalità di cui parla Nereo. Errare è umano e lavorare bene è difficile ma gli errori gravi non sono giustificabili perché significa che c’è un problema di base.

  4. Confermo in toto e apprezzo l’esplicito coraggio. Una volta ero li con mio marito è entrato il sindaco si sono completamente scordati di noi ha ragione trabacchi nel prezzo ci deve essere anche la professionalità

  5. È vero a volte sono bruschi

  6. Credo proprio che passero’ la mano a pc ci sono “trattorie” dove il servizio e l’ accoglienza sono sicuramente meglio…

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